Consiglio episcopale permanente
Lo sguardo, attento e benevolo, della Chiesa italiana sul momento presente non può certo sorvolare sui problemi e sono tanti – che attraversano il Paese; eppure non mancano mai sostegno e incoraggiamento. La prolusione pronunciata dal cardinale Angelo Bagnasco, in apertura dei lavori del Consiglio episcopale permanente, muove in questa direzione
Quello attuale “è un tempo di grandi sfide ma anche di grandi opportunità”. Lo sguardo, attento e benevolo, della Chiesa italiana sul momento presente non può certo sorvolare sui problemi e sono tanti – che attraversano il Paese; eppure non mancano mai sostegno e incoraggiamento. La prolusione pronunciata dal cardinale Angelo Bagnasco, in apertura dei lavori del Consiglio episcopale permanente, muove in questa direzione. Dalle parole del presidente della Cei emerge uno dei tratti essenziali delle comunità ecclesiali italiane: la capacità di farsi prossime. Ed è proprio questa prossimità, che si esprime in una presenza capillare che innerva i nostri territori, a “non perdere – sottolinea Bagnasco – alcuna occasione – e sono sconfinate – per incontrare, ascoltare, testimoniare, dire le parole della fede e quelle della ragione, perché il cuore di tutti – qualunque sia la loro posizione – ritrovi calore, compagnia, luce e fiducia per vivere i giorni e le stagioni”.
Solo così si possono cogliere gli accenti, gravidi di preoccupazione e attenzione, verso i temi che l’attualità impone all’agenda pubblica: i giovani e il lavoro, le famiglie in difficoltà, il fine vita, i migranti, il futuro dell’Europa.
Anzitutto, il tema del lavoro collegato ai giovani e alla famiglia. “Sono ormai lunghi anni – rimarca il cardinale – che il problema taglia la carne viva di persone – adulti e giovani – e di famiglie. La vita della gente urla questa sofferenza insopportabile”. Qui il “focus” è proprio la famiglia: punto di riferimento stabile, pur con le sue fragilità legate ai rapidi processi di secolarizzazione. La famiglia come crocevia di quegli stessi problemi e delle legittime speranze che nutre il popolo italiano che vorrebbe “il mondo politico piegato su questo prioritario dramma, mentre invece lo vede continuamente distratto su altri fronti”. E non è un caso che Bagnasco ponga la famiglia in relazione al lavoro (“la prima e assoluta urgenza” del Paese), alla crisi demografica, al futuro dei giovani, al diritto dei bambini “a essere allevati da papà e mamma, nella differenza dei generi” e all’educazione (cui, peraltro, la Chiesa italiana sta dedicando questo decennio).
Sempre all’interno delle relazioni affettive e familiari si pone la questione del dibattito in corso su “vita e autodeterminazione”. La vita, ricorda il cardinale, “è un bene originario: se non fosse indisponibile tutti saremmo esposti all’arbitrio di chi volesse farsene padrone”. Così per venire all’oggi legislativo: “La legge sul fine vita, di cui è in atto l’iter parlamentare, è lontana da un’impostazione personalistica; è, piuttosto, radicalmente individualistica, adatta a un individuo che si interpreta a prescindere dalle relazioni, padrone assoluto di una vita che non si è dato”.
Parole non dettate da logiche di contrapposizione, ma figlie dell’incontro, dell’ascolto e della testimonianza.
“Filo rosso”, questo, che porta lo sguardo del presidente Cei su un altro fronte caldo: i migranti e l’Europa. Temi che interrogano la Chiesa e che dovrebbero sollecitare risposte lungimiranti a livello civile e politico. Al fenomeno migratorio la Chiesa italiana riserva – spiega il cardinale – una triplice strategia: l’azione di sostegno direttamente nei Paesi di provenienza, il coinvolgimento diretto della Cei nella realizzazione di corridoi umanitari per l’arrivo di profughi e, non di meno, la presenza operosa, in collaborazione con le autorità pubbliche nell’ottica dell’accoglienza sempre necessaria, ma anche nell’intento d’integrare coloro che mostrano nei fatti di volerlo.
È una Chiesa che rinnova il suo impegno concreto sul terreno della difficile quotidianità.
Da qui ancora un prezioso riferimento al futuro dell’Unione europea, alla vigilia delle celebrazioni del 60° dei Trattati di Roma, fissate per il 25 marzo nella Capitale. A fronte di Brexit e spinte populiste, la Chiesa crede nell’Unione europea, purché questa “non diventi altro rispetto a se stessa, alle sue origini giudaico-cristiane, alla sua storia, alla sua identità continentale, alla sua pluralità di tradizioni e culture, ai suoi valori, alla sua missione”.
Come a dire, un’Europa “unita nella diversità”.
L’appuntamento del 25 marzo in Campidoglio dovrà dimostrare che la rotta – cui la Chiesa dà fiducia e sostegno – viene confermata ed effettivamente perseguita.