Azzardo

Quando il biscazziere è lo Stato

C’è un azzardo che sta entrando nella cultura degli italiani minando la loro stessa vita. Ovviamente chi ci guadagna è lo Stato, tutto proteso a “fare cassa”, ma incurante dei costi sociali che il fenomeno va assumendo. Infatti questa diffusione così capillare sta portando a una vera e propria dipendenza, la ludopatia appunto, che è una vera e propria malattia sociale con conseguenze drammatiche

In un tempo di crisi economica c’è un settore che invece è in fase di continua crescita. Parlo del numero dei centri scommesse che si moltiplicano come funghi e che ormai troviamo diffusi ad ogni livello, dalle città ai piccoli paesini. Quello delle scommesse è un settore che non conosce crisi unitamente alla diffusione delle macchinette mangiasoldi e al dilagare del fenomeno del “gratta e vinci”, per non parlare delle scommesse on-line.

Indagini condotte a vario livello denunciano un allarme legato alla “passione per il gioco” che sta distruggendo la vita di uomini e donne e disgregando intere famiglie portandole sul lastrico, quando addirittura non ha provocato tragiche conseguenze (tentati suicidi) tra i familiari dei giocatori. Giovani studenti, interpellati a scuola hanno dichiarato di avere un genitore o un parente che abitualmente gioca d’azzardo ogni giorno (20,4%). C’è dunque un azzardo che sta entrando nella cultura degli italiani minando la loro stessa vita. Ovviamente chi ci guadagna è lo Stato, tutto proteso a “fare cassa”, ma incurante dei costi sociali che il fenomeno va assumendo. Infatti questa diffusione così capillare sta portando a una vera e propria dipendenza, la ludopatia appunto, che è una vera e propria malattia sociale con conseguenze drammatiche.

Dinanzi a queste situazioni il Governo non può rimanere indifferente, né può permettersi addirittura di pubblicizzare il gioco d’azzardo, nascondendosi dietro lo sbandierato slogan “attenzione può nuocere gravemente alla salute”, utilizzando addirittura i campioni sportivi per promuovere una pratica che invece dovrebbe essere repressa.

Diverse sono le campagne di cittadini e mass media e soprattutto di operatori nel settore delle dipendenze che chiedono allo stato di ridimensionare e regolamentare il fenomeno. Il governo qualche settimana fa ha presentato il proprio piano per il “riordino” del sistema di commercializzazione e vendita dell’azzardo legale in Italia. In esso è apparsa una novità: la creazione di “sale di tipo A”. Si tratta di una sorta di zona franca per gli affari dove né sindaci, né governatori, né regioni né, soprattutto, cittadini possono mettere bocca. La partita si gioca tutta qui: le slot nei bar e nei tabacchi generano sempre più patologia, ma sempre meno business per i concessionari. Concessionari che sono pure disposti a sacrificare questa parte di business a patto di avere sul territorio migliaia di sale immunizzate da ogni provvedimento di enti e autorità locali. In sostanza, casinò di quartiere, all’interno dei quali confluirebbero soprattutto VLT, macchine iperveloci che danno grandi problemi non solo in termini di patologia sociale ma anche di pulizia del denaro sporco.

Condizione per realizzare questo piano, è che gli enti locali accettino di avere nei loro territori delle zone franche, dei casinò h/24 dove non valgano norme no slot su orari di apertura e distanze minime dai luoghi sensibili da rispettare e dove leggi regionali e sindaci nulla possono.

“Toglieremo il 30% di slot machine dal territorio”, vanno dicendo dai piani alti da un anno e mezzo. Risultati? Nessuno. E in ogni caso, sarebbe come sminare un territorio per poi installare dei reattori nucleari. Dalla padella alla brace, si diceva un tempo.

(*) direttore “Settegiorni dagli Erei al Golfo” (Piazza Armerina)