Famiglia & cronaca

Storie di chi cerca di realizzare un sogno

Forse si dovrebbe parlare di più di affetti: dire quanto sono importanti, come si riconoscono e come si comunicano (anche attraverso un fiore o il bacio della mano o delle parole intense e vere). Se, non delegando più l’educazione affettiva ai reality, alla televisione o ad internet, con più coraggio dicessimo nuovamente queste cose ai nostri giovani, forse non ci troveremmo a commentare – ipocritamente scandalizzati – i drammatici scenari di violenza che ci stanno inquietando in questi giorni

Durante un pranzo di nozze, ad un certo punto – come spesso accade – tra le risa e le battute si alza il grido in coro: “Bacio, bacio…”. Lo sposo si alza, si avvicina alla sposa, si inginocchia, le prende la mano e la bacia. Improvvisamente niente più urla, niente più battute salaci. Per qualche istante scende un silenzio irreale tra i convitati. Chi si commuove, soprattutto le donne. Chi un po’ si vergogna, perché maliziosamente aveva pensato ad altro. Il gesto dello sposo – come un colpo di scena – ha preso tutti in contropiede e ha svelato le intenzioni dei cuori dei presenti. Ha svelato le intenzioni soprattutto del suo cuore. Ha fatto capire come egli vede la sua sposa e ha manifestato qualcosa dell’amore nobile e pieno di rispetto che prova per lei. In quel preciso contesto, quel gesto – sicuramente non programmato e nato spontaneamente nel cuore del giovane sposo – ha detto molto sull’amore e sul rapporto uomo-donna. Ad esempio, che la sposa – e lo sposo – non sono un oggetto del proprio piacere da usare alla bisogna, in modo strumentale. E ancora: che il bacio è un segno di affetto molto importante, che non si banalizza stupidamente, solo perché altri gridano ossessivamente “bacio, bacio”. Come pure: che la sposa – e lo sposo – sono un dono immeritato l’uno per l’altra, che genera in entrambi stupore e meraviglia. Un po’ come quello che prova Adamo, dinanzi alla creazione di Eva: un dono straordinario che finalmente dà risposta alla sua ricerca di senso e di presenza. Ora Adamo – grazie ad Eva – non è più solo: è sottratto alla sua dolorosa solitudine e ne gioisce. Finalmente ha trovato qualcuno che gli è simile. Il bacio dello sposo ricorda inoltre che i doni vanno trattati con cura e rispetto, perché sono preziosi e importanti. Vanno custoditi con gentilezza e premura.
Certo, non si deve necessariamente fare così e solo così: il baciamano forse è un’istituzione di un tempo passato, un po’ romantica, che non tutti si sentono di fare propria (e che in alcuni casi può anche essere del tutto inopportuna). Tuttavia quel gesto, in quel preciso contesto, – c’è poco da fare – ha assunto una forza dirompente ed è stata un’epifania, una manifestazione, di cosa può essere la relazione di coppia. O per lo meno, di quello che quella giovane coppia pensava circa l’amore, la vita insieme, il matrimonio…
Entusiasmi giovanili, dirà qualcuno. Allora ripenso alle parole piene di commozione di un figlio, ormai adulto, che ricordava quanto suo padre, gravemente ammalato e infermo a letto, gli aveva confidato in un momento in cui si erano trovati soli. Erano parole piene di stima e di ammirazione per sua moglie: “Tua madre è brava. Sa fare molte cose. In questo periodo di malattia mi è molto vicina e si prende cura di me. E in tutti questi anni mi ha rispettato… e io l’ho rispettata”. E poi concludeva: “Nella mia vita mi sono dedicato con tutte le mie forze alla famiglia… perché la famiglia è vita”. Sì, proprio così. Colpisce che questo uomo non abbia usato la parola amore ma rispetto. Chissà, forse per pudore nei confronti del figlio. O forse perché per lui i due termini erano equivalenti. O forse perché voleva dire che amore e rispetto sono profondamente intrecciati e il rispetto è la condizione dell’amore. Colpisce anche la definizione di famiglia di quest’uomo, che non era né un teologo né un uomo di cultura. In quella breve frase ha espresso non tanto una teoria o un’ideologia, ma quella che era stata la sua esperienza di famiglia: vita, appunto.
Forse dovremmo raccontare di più storie così. Storie di chi cerca – pur nella debolezza e tra le incertezze – di realizzare un sogno. Il sogno di una vita insieme, mano nella mano. O il sogno di una famiglia, inteso come obiettivo, meta, progetto. Forse dovremmo parlare nuovamente di fidanzamento (parola che oggi appare fuori moda!), cioè di quel tempo di progressiva conoscenza, che va vissuto sapendo attendere, con una sana distanza. Un tempo che prepara ad una scelta di vita importante, senza essere preda della ricerca dell’emozione forte, che rischia di far perdere la misura, o dell’esasperazione del sesso. Forse si dovrebbe parlare di più di affetti: dire quanto sono importanti, come si riconoscono e come si comunicano (anche attraverso un fiore o il bacio della mano o delle parole intense e vere). Se, non delegando più l’educazione affettiva ai reality, alla televisione o ad internet, con più coraggio dicessimo nuovamente queste cose ai nostri giovani, forse non ci troveremmo a commentare – ipocritamente scandalizzati – i drammatici scenari di violenza che ci stanno inquietando in questi giorni.

(*) direttore “L’Azione” (Vittorio Veneto)