Essere giovani

Gmg2017: la testimonianza di don Salvatore Mellone. Non un giovane-divano!

Nel 2014, all’età di 37 anni, a Salvatore Mellone viene diagnosticata una neoplasia all’esofago con una prognosi infausta. Salvatore frequenta il terzo anno di formazione verso il sacerdozio. Inizia così un calvario, ma si sente portato sulle spalle di Cristo. E così chiede e ottiene la dispensa per essere ordinato sacerdote anzitempo: la malattia diventa ormai sempre più ingravescente. Viene ordinato il 16 aprile 2015. Don Salvatore muore il 29 giugno successivo, lasciando come eredità spirituale 41 omelie. La sua storia ha commosso l’Italia e non solo. Papa Francesco, alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale, gli telefona per rincuorarlo e chiedergli la prima benedizione da presbitero. Riproponiamo oggi, con le parole della sorella Adele, la storia di Salvatore per ribadire ai giovani quanto il Papa scrive nel messaggio per la Gmg di quest’anno: “Anche voi potete fare grandi cose, assumervi delle grosse responsabilità, se riconoscerete l’azione misericordiosa e onnipotente di Dio nella vostra vita”

Trani, 15 aprile 2015: Salvatore Mellone viene ordinato sacerdote

“La gioia ha un peso specifico totalmente diverso dal dolore, il male sulla bilancia non pesa come il bene. In tanti ci fanno credere il contrario ma non è così poiché, anche nel buio più assoluto del patire, sorge come da una fontana zampillante il desiderio, fisico, corporeo e spirituale, di mutare il pianto in sorriso. E se desidero il bene anche attraversando il male e attraversato dal male ciò, allora, mi dice che il bene è l’ultima meta, la gioia il traguardo più puro, luce originaria da cui provengo e a cui tendo perché da essa amato, chiamato, invocato. Già, la gioia è il vero senso del vivere, la gioia tanto diversa dalla felicità che, seppur rinfrescante, passa come bagliore e si disperde. La gioia, invece, permane e t’intride dei suoi umori liberanti, primaverili, fluidi fertili che irrigano le zolle di una vita che, seppur piagata e piegata, ha ancora la forza di riconoscere, negli anfratti più reconditi del cuore, Dio che è Abbà d’infinita tenerezza e assoluta misericordia, Figlio che sta con te sul letto mentre soffri, Spirito Santo che ti consola nell’intimo senza parole ma con la sua presenza amica”.

Con queste parole Salvatore, già malato e ormai in fase terminale, si rivolgeva ai giovani della diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie durante la veglia mariana del maggio 2015.

Salvatore è stato un ragazzo normalissimo, che ha avuto una vita normalissima, con le sue cadute, le sue sconfitte e le sue vittorie. Sicuramente nei momenti difficili, avrà anche pensato che il senso della vita fosse nullo. Rideva, giocava si divertiva ma nel suo cuore il vuoto diventava voragine sconfinata che nessuno riusciva a riempire. Lo aveva incontrato, quel Gesù dal volto amico, nella piena adolescenza, durante un campo scuola parrocchiale sul Monte della Verna. Un incontro che gli aveva aperto spazi di eternità ma che ben presto rimase come brace, sopita sì, ma mai spenta. Ed era proprio a quel fuocherello che si rivolgeva per rivivere quell’infinita gioia, nei momenti bui. Sapeva che solo quel Gesù, dal volto amico, avrebbe potuto riempire e far traboccare quella voragine. Ma qui comincia la sua lotta con Dio!

Accantonata la sua gioia, comincia a vivere una vita “normale”, fatta di studio, ragazze, servizio militare e amici. La fede lo scuote ma la vive in maniera “normale”, senza eccessi. Si impegna in parrocchia come educatore, ma Dio continua a bussare insistentemente al suo cuore. E questo lo spaventa! Si allontana da quella voce che tanto lo attrae, desideroso di entrare nello spazio di Dio, dal quale, però ne rimane turbato. Le notti insonni, spesso passate nel silenzio a pregare il Rosario, si alternano alla rabbia verso Dio.

Il passato, letto alla luce della grazia, diventa luogo in cui ogni singolo evento è un tassello del mosaico dell’esistenza.

Questa è stata la grazia di Salvatore, non aver “resettato”, come dice il Papa, il passato, averlo reso parte della sua vita, lasciando che la grazia di Dio lo trasformasse, rendendo la sua vita piena e colmata di grazia. Scavando nel passato, che in lui non era entità astratta o dimenticata, ha saputo trovare i momenti in cui il Signore è passato nella sua vita.

La sua non è certo stata una vita da “divano”,

è stata una vita vissuta sempre appieno, prima nella lotta con Dio, poi, esplosa con la sua vocazione, perso nell’abbraccio misericordioso della Santissima Trinità, infine accolto – come affermava in un’omelia il 26 giugno 2015, tre giorni prima di morire – dalla “bellissima mano di Dio, graziosissima mano di Dio”, una mano che “accarezza di giorno in giorno, accarezza come una mano materna, paterna e sta lì a far sentire quel suo Amore”.

Il giorno della sua prima messa, a chi gli chiese per quale intenzione la offrisse, Salvatore rispose: “Offro questa messa perché quante più persone possano tornare a Dio”.

In questo, Salvatore ha attuato, con profonda umiltà, ciò che il Papa scrive nel messaggio per la Gmg di quest’anno, quando afferma che “possiamo essere strumenti, collaboratori dei progetti salvifici di Dio”.

Se anche una sola persona è tornata a Dio con la sua offerta, allora la misericordia del Padre ha agito nelle nostre vite portando salvezza.