Editoriale
Guardare al Crocifisso risorto, ricordare lo scempio fatto al suo corpo flagellato e denudato, inchiodato sul legno, non può esimerci di guardare anche da quest’altra parte, non possiamo distogliere lo sguardo da quello scempio orrendo. I bambini di Idlib ci ricordano quanto peso immenso grava ancora sulla nostra coscienza, quanto istinto belluino ancora avvelena il nostro Mediterraneo
La luce che emana dalla Pasqua del Signore si impone sempre con forza. Sarà forse effetto della natura che riprende a vivere e a far germogliare intorno a noi. Ma anche dentro di noi, si risveglia un senso di liberazione e di freschezza che l’inverno aveva rattrappito e la baldoria di carnevale aveva fatto dimenticare. Perché certamente c’è anche la fede che respira nuova linfa, attraverso il lungo percorso quaresimale.
Tragitto che rinnova. Magari siamo entrati in Quaresima, come capita a tanti, con qualche senso di colpa e parecchie confusioni, per le distrazioni del carnevale. Ma poi lentamente, giorno dopo giorno, la ricca – e anche pungente e graffiante – Parola liturgica e il cuneo dei giorni più modesti e seri hanno scavato dentro, hanno rimosso macerie, rotto durezze e gettato semi di conversione e di solidarietà nuove. E si sono aperte brecce alla luce, alla speranza, all’attesa, ai gesti di solidarietà e di pietà meno posticcia. Ora a fine tragitto quaresimale ci immergiamo nei grandi misteri della salvezza. Giorni ardenti e carichi di pathos per la memoria al rallentatore dell’addio intimo con gli amici e poi delle sofferenze pubbliche che hanno condotto Gesù alla morte in Croce. Icone di grazia e dolore, amicizia intima opposta a odio inferocito che annienta. Tutto scende come seme nella terra della nostra risvegliata coscienza cristiana, per germogliare in opere di risurrezione, segnali di luce e di vita. Perchè Pasqua vuol dire vita che vince sulla morte, vuol dire amore che scompagina meccanismi di violenza, tenerezza che avvolge il dolore e fa sorgere albe di novità. Come succedeva alla donne “mirofore”, in quel primo albeggiare del giorno dopo il sabato: dove pensavano di trovare segni di morte hanno incontrato la luce delle vesti degli angeli, la grossa pietra spostata, la tragedia trasformata in nuova avventura di incontri e speranza.
Striature di dolore. Eppure questi sono anche giorni intrisi di sofferenza e di orrore. In Siria si continua a vedere scene strazianti, immagini che “urlano”: quasi a ricordarci che ancora si pone il contrasto tra la vita e la morte, che ancora innocenti vittime pagano per violenze assurde e abissi tragici di infinito odio fra i popoli. Guardare al Crocifisso risorto, ricordare lo scempio fatto al suo corpo flagellato e denudato, inchiodato sul legno, non può esimerci di guardare anche da quest’altra parte, non possiamo distogliere lo sguardo da quello scempio orrendo. I bambini di Idlib ci ricordano quanto peso immenso grava ancora sulla nostra coscienza, quanto istinto belluino ancora avvelena il nostro Mediterraneo. Immaginiamo quei genitori che si trovano fra le braccia i loro bimbi soffocati dal gas, denudati dai soccorritori nel tentativo di strapparli alla morte, rilanciati dai media per provocare emozioni di orrore, ma senza riuscire a inchiodare le nostre coscienze sulle corresponsabilità che tutti abbiamo. Perchè anche noi, anche noi italiani, vendiamo armi a quelli che si combattono in Siria, e in mille altri posti. Gli affari sono affari, ma ne va di mezzo la coscienza di tutti – ammesso che questi mercanti si ricordino di usarla – e anzitutto la nostra coerenza con i grandi e alti “valori umani”, tanto declamati e poi così spesso negati nei fatti e nelle avventure di guerre senza fine.
Dio chinato in umiltà. Il grande mistero pasquale ci presenta un Dio che si china umile sulle piaghe umane, le piaghe secolari e i grovigli di malvagità, e se ne fa carico fino a rimanerne schiacciato. Il primo omaggio alla vittoria di Gesù sulla morte, secondo il Vangelo di Giovanni, sono state le lacrime di Maria di Magdala: omaggio che Gesù stesso nota e sottolinea con una domanda: “Donna, perchè piangi?”. Che siano le nostre lacrime, mescolate ai profumi della contemplazione adorante e alle suppliche della intensa liturgia di questi giorni del triduo sacro, a ridare senso e speranza a questa Pasqua. Senso di coscienza vigile e fiducia nei semi di bene che, nonostante tutto, possiamo e vogliamo gettare, in questa nostra terra, dentro le nostre stesse vite.