Denuncia & impegno
Il presidente di Libera parla di una Regione macchiata d’infiltrazioni criminali. Ma in questa terra veneta che gli ha dato i natali, una nuova rivoluzione al femminile si sta opponendo alla mafia, pronta a farsi veicolo di legalità e giustizia per amore dei figli
Il suo Veneto sporco d’infiltrazioni malavitose e un’antimafia in rosa capace di combatterle anche al Nord. La denuncia rimbomba dalle stanze margherine del presidio locale di Libera, l’organizzazione antimafiosa di cui è padre, a detta del Global Journal tra le 100 migliori Ong al mondo.
Qui ha messo piede don Luigi Ciotti, presidente di Libera, martedì scorso, sotto l’occhio vigile di quattro uomini della scorta, fedeli ombre del sacerdote alle quali lancia velati sguardi di gratitudine nel corso dei suoi innumerevoli incontri educativi in giro per lo stivale.
Lo ha fatto anche martedì sera, quando ha ricordato una donna semplice che gli strattonò la mano scoppiando in lacrime dopo la strage di Capaci. Era la madre di Vito Schifani, uomo della scorta morto per difendere Giovanni Falcone, che gli chiese: “Perché non fanno mai il nome di mio figlio?”.
Derive mafiose di cui il Veneto, regione che ha dato i natali al prete attivista, non è immune, anzi:
“Questa è un’area geografica che suscita gli interessi delle organizzazioni mafiose. Dove c’è benessere e bellezza arrivano tutte. Ci sono tutti i segnali. E non vanno sottovalutati”.
Come facciamo a riconoscerli?
Qui arrivano in modi diversi. Oggi esistono tanti meccanismi del riciclaggio. Tocca a noi scoprire tutto questo. Loro vogliono aggredire le piccole e medie imprese per riciclare e coprire il denaro sporco. Puntano a società pulite in cui vogliono nascondersi. Tocca a noi cercare le informazioni giuste. C’è chi le dà, ma non molti scendono in questa profondità. E qui in Veneto chi ha studiato ha messo in evidenza la presenza di tutte le organizzazioni. Certo, non sono i colori di una presenza criminale mafiosa così eclatante. Ma sottotraccia fa i suoi giochi, cerca i suoi obiettivi. Si sono fatti i nomi di Camorra, Cosa nostra, Mafia del Brenta e della presenza di criminalità di altri paesi. E quindi dobbiamo essere persone che si documentano. Io dico sempre ai ragazzi che è importante conoscere perché
la conoscenza è la via maestra del cambiamento.
I segnali non li vedo per strada. I mafiosi sanno come camuffarsi. Ma ci sono tanti elementi che si colgono, che ci devono invitare a essere persone più consapevoli.
Lei parla di rivoluzione femminile nella lotta a queste mafie. Dove l’ha riscontrato?
Si sta aprendo una grossa breccia. Con Libera lo vediamo in tutto il territorio nazionale.
Oggi c’è una rivoluzione di donne, di mamme, che per amore viscerale verso i propri figli hanno certamente trovato delle sponde, hanno trovato un clima diverso che permette loro di maturare delle scelte.
Si stanno ribellando e chiedono aiuto per poter crescere i propri figli in contesti diversi. Hanno bisogno di poter sperimentare una forma di comunità, di socializzazione, di vita, di libertà, di dignità diversa.
E la marcia in più rispetto agli uomini è proprio la responsabilità che sentono verso i figli, secondo lei?
Una delle motivazioni sì, è l’amore per i propri figli. Il prendere coscienza che non si può continuare a farli crescere in contesti in cui viene tolta la dignità, la libertà.
E quando in questi contesti ci si ritrova già corrotti, magari perché non si conoscono modelli alternativi rispetto a quelli in cui si è nati, come si fa ad innescare la “rivoluzione delle coscienze” alla quale lei fa spesso riferimento?
Ognuno è chiamato a guardare dentro la propria coscienza. Il nostro dovere è quello di una rivoluzione culturale, etica e sociale. Dobbiamo metterci in gioco singolarmente. Il cambiamento che noi sogniamo ha bisogno di ciascuno di noi. Noi dovremmo essere questo cambiamento.
Il noi vince. Non è opera di navigatori solitari.
Riunire le forze per diventare una forza insieme. Ma qui si apre anche una pagina di speranza. Perché la speranza o è di tutti o non è speranza. La speranza ha bisogno anche di ciascuno di noi. E come possiamo essere segni di speranza? Impegnandoci. Facendo la nostra parte, nella consapevolezza che è un dato di intelligenza e umiltà dei nostri limiti. Quello che non faccio io lo fai tu. Quello che non possiamo noi due lo fa un’altra persona. Io auguro sempre, soprattutto ai giovani, di riempire la vita di vita, di vivere e di non lasciarsi vivere.
(*) “Gente Veneta” (Venezia)