Reportage
“Chi educa un ragazzo, educa un uomo, ma chi educa una ragazza, educa una nazione”. Viaggio alla St. Joseph Language School, una scuola gestita dalle suore comboniane nel cuore del Cairo, dove a ragazze musulmane e cristiane s’insegna il valore dell’amicizia e del dialogo. Il futuro dell’Egitto passa da qui
Sohad Hossam El Din Hasan ha 16 anni e il suo obiettivo è diventare medico. Marian George Essmat , anche lei ha 16 anni, e da grande vuole fare l’interprete. La prima è musulmana. L’altra è cristiana. Frequentano la stessa classe e condividono gli stessi sogni. Guardano alla vita con la stessa, identica luce negli occhi. Il futuro dell’Egitto è qui, in questi due cuori di donne. Siamo alla St. Joseph Language School, una scuola gestita dalle suore comboniane nel cuore del Cairo, più precisamente nel quartiere di Zamalek, un isolotto bagnato dalle acque del Nilo. Dal 1915 ad oggi, ogni mattina la scuola apre le sue porte a oltre mille ragazze, senza fare distinzioni di religione e credo. Le accompagna dall’asilo fino all’esame per entrare all’Università, le educa ai valori dell’amicizia, quella vera che sa gettare ponti di fraternità lungo gli steccati delle differenze.
Ogni mattina, le ragazze si ritrovano nel cortile della scuola e mano sul petto cantano l’Inno nazionale per rendere omaggio al Paese. “Sono pronto a dare la vita per l’Egitto”. Ma il Paese, fuori da queste aule colorate, sta attraversando uno dei periodi più difficili della sua storia, segnato da una serie di attacchi terroristici che hanno seminato, con il sangue, paura e terrore. Subito dopo gli attentati sferrati dai terroristi di Daesh, nella Domenica delle Palme, il presidente al-Sisi ha proclamato lo stato di emergenza. Le strade adiacenti alle Chiese cristiane sono chiuse al traffico, sorvegliate 24 ore su 24 dalle forze dell’ordine. E anche se la vita per le strade continua a scorrere caotica come sempre, il popolo egiziano vive con la speranza che questo Paese possa avere presto un futuro migliore e con la convinzione che il presidente al-Sisi stia lavorando per questo.
“Alla scuola St. Joseph noi andiamo contro corrente”, dice suor Samiha Ragheb, intraprendente direttrice, comboniana della St. Joseph. “Il dialogo è diventato la parola d’ordine del nuovo modo d’intendere oggi la missione, e la nuova frontiera dell’annuncio del Vangelo. Se il mondo tende al fanatismo, noi qui insegniamo la tolleranza, il rispetto dell’altro, l’accettazione della diversità.
Là dove mettono odio, noi seminiamo amore e a chi predica la divisione, noi diciamo che siamo tutti fratelli e sorelle, figli dell’unico Padre”.
Qui sono accettati tutti. Non c’è alcuna discriminazione, nessuno è escluso. E a tutti vengono proposti i sei punti cardine che caratterizzano la didattica di questa scuola: coltivare l’amicizia sincera; ascoltare; promuovere l’amore che espelle la paura; vedere sempre il meglio negli altri; trattare l’altro con straordinario rispetto e guardare agli altri con gli occhi di Dio.
Papa Francesco arriverà in questo angolo di mondo per rafforzare questi rivoli di dialogo e di fraternità che attraversano il Paese.
C’è grande attesa ed emozione nella piccola comunità cristiana dell’Egitto. “Il Papa – dice suor Samiha – è un uomo di Dio e qui, in Egitto, c’è rispetto per gli uomini di Dio, per i religiosi e le religiose. Il Papa è una persona amata da tutti per i gesti umani che ha compiuto in diversi posti del mondo”.
Francesco troverà un Paese economicamente in ginocchio.
Una forte inflazione da novembre sta provocando un’impennata dei prezzi che sta mettendo a dura prova le famiglie. Il Cairo, con i suoi 25 milioni di abitanti, è la città africana più popolosa dopo la capitale nigeriana Lagos. Anche l’analfabetismo è una piaga ancora esistente, soprattutto nel basso Egitto, lungo la striscia del Nilo, dove i bambini vengono mandati presto a lavorare nei campi. E se il governo sta lavorando molto per migliorare la situazione, il cambiamento richiede processi lunghi e complessi.
Alla St. Joseph sanno che il futuro di un Paese passa attraverso la scuola e l’educazione. Che il Paese ha bisogno di menti aperte e persone moderate. Ci sono dei corsi avanzatissimi di lingua inglese e francese, laboratori di fisica e scienza, programmi innovativi di lingua araba. Anche lezioni di morale dove tra l’altro s’insegna la prevenzione della violenza sulle donne.
Le porte di questa scuola sono sempre aperte, anche a chi non ce la fa a pagare la retta. Sui banchi di questa scuola studiano anche ragazze sudanesi, rifugiate eritree, siriane e di altre nazionalità. Il futuro qui prende il colore rosa delle donne. Alle ragazze viene insegnato a guardare il mondo con responsabilità e ottimismo. Saranno loro a guidare il Paese. Gli occhi di Marian fanno sperare in un Egitto nuovo. Con il suo inglese perfetto, dice che le donne hanno gli stessi diritti degli uomini e sono capaci di “lottare per raggiungere quello che desiderano, senza arrendersi”. Nel carisma di Comboni, la donna è famiglia, è leadership, è ambasciatrice di pace, è sempre un elemento di armonia e moderazione.
“Chi educa un ragazzo, educa un uomo, ma chi educa una ragazza, educa una nazione”.
Sohad e Marian devono tornare in classe. Devono studiare per gli esami di fine anno che si stanno svolgendo adesso visto che a breve le scuole chiuderanno in Egitto, in anticipo rispetto agli altri anni, perché l’inizio del Ramadan cade quest’anno alla fine di maggio. Le loro vite sono come quelle colombe bianche che sono rappresentate sul logo della scuola insieme al pianeta terra. Pronte a spiccare presto il volo per portare nel mondo i valori della pace e della fratellanza che fanno di questa scuola il fiore all’occhiello del nuovo Egitto che sta nascendo.