Reportage/2

Dopo il terremoto: Norcia vuole tornare a suonare le campane per sconfiggere il sisma, alzheimer della comunità

A Norcia e dintorni la quasi totalità delle chiese è inagibile. Dopo la messa in sicurezza, in un’apposita struttura nei pressi di Spoleto, dei beni artistici dei luoghi di culto (paramenti, vasi liturgici, reliquiari, statue, tele) si punta a lavorare per ricostruire almeno le chiese più significative da un punto di vista storico e religioso. Una risposta ai bisogni materiali e spirituali di una comunità sfilacciata dal sisma che tiene alle proprie chiese allo stesso modo che alle case. Il bisogno di tornare a sentire le campane suonare. L’impegno della diocesi e della Soprintendenza

foto SIR/Marco Calvarese

“Il terremoto della Valnerina non solo ha creato delle ferite al patrimonio artistico e ambientale, ma anche una cesura tra il passato e il futuro. Privi di punti di riferimento, senza riconoscere più i luoghi familiari dove si è vissuto: è qualcosa che dagli occhi passa al cuore e si trasmette al cervello.

Il sisma è come l’Alzheimer di una comunità, perché il terremoto ha ferito il cuore e la mente delle persone”.

Vuole lanciare lo sguardo in avanti, oltre i tanti cantieri e i cumuli di macerie che oggi costellano Norcia e i suoi dintorni, monsignor Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia, mentre cerca di fare il punto della situazione a 8 mesi dal sisma del 24 agosto e di quello devastante del 30 ottobre. “Tanti cantieri ma non si vede ancora la ripartenza. Sarebbe molto significativo per la nostra gente vedere che si riparte con qualcosa”. Con le abitazioni innanzitutto, e le chiese, “cuori pulsanti” di comunità sfilacciate e messe a dura prova. “La gente è frustrata – dice l’arcivescovo – servono punti di aggregazione”. Come i 5 centri di comunità voluti dall’arcidiocesi per rispondere ai disastri del terremoto: a Norcia, a Campi-Ancarano, ad Avendita di Cascia, a Cascia e a Cerreto di Spoleto, pensati per attività pastorali, culturali, sociali, ricreative e anche per la liturgia. Sì, perché le chiese di Norcia e delle zone vicine, sono quasi tutte inagibili, “molte irreparabilmente distrutte, altre gravemente danneggiate” spiega mons. Boccardo.

Un lungo elenco. Nel centro di Norcia preoccupano Santa Maria degli Angeli, santa Maria della pace, san Giovanni, sant’Agostino, sant’Antonio, chiesa del Crocifisso, santa Maria Argentea, san Benedetto, mentre a Spoleto ci sono san Domenico, sacro Cuore, san Vincenzo, san Nicolò, il santuario della Madonna di Loreto, san Filippo. Inagibile, con la parrocchia del Sacro Cuore di Spoleto la più popolosa dell’arcidiocesi, anche la quasi totalità delle chiese dei centri intorno Norcia, come conferma don Giuliano Medori, parroco della Trasfigurazione di Avendita e di san Fortunato a Poggio Primocaso, frazione di Cascia: “Nelle mie due parrocchie, che coprono un’area di 13 paesi, ho 15 chiese inagibili, e solo due agibili, quella di Foiano e di Poggio Primocaso”, racconta il sacerdote, mentre guarda ciò che resta della Pieve di san Procolo, ad Avendita, che con Castelluccio di Norcia e san Pellegrino è il centro più devastato dal sisma del 24 agosto e 30 ottobre. “La gente prova un senso di abbandono sapendo che ‘ricostruire’ significa attendere 10, 15 e forse 20 anni. E

chi oggi è anziano comprende che potrebbe non vedere nulla della ricostruzione di case, chiese e aziende.

So di persone che non sono venute a vedere la loro chiesa terremotata per paura di avere un tracollo totale”. Non sorprende, allora, se

“una delle cose di cui la gente di qui lamenta la mancanza è il suono delle campane. Le campane che non suonano ti danno l’idea di essere rimasto senza patria, nel deserto”.

Si celebra nei container e tensostrutture, in attesa di poter rientrare nelle chiese dove, spera l’arcivescovo Boccardo, “possano fare presto ritorno anche tutti quei beni artistici, paramenti, vasi liturgici, arredi sacri, reliquie, messi in sicurezza nel deposito per i Beni culturali di Santo Chiodo, alle porte di Spoleto. Con la Protezione civile, i Vigili del Fuoco e con il coordinamento della Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per l’Umbria, si sta procedendo alla messa in sicurezza di quegli edifici più o meno recuperabili. L’auspicio è che in tempi brevi parta la ricostruzione almeno delle chiese artisticamente più significative e necessarie dal punto di vista pastorale”. Il pensiero dell’arcivescovo non è solo per la chiesa di san Benedetto, drammatica icona del sisma del 30 ottobre, ma per tutte le piccole chiese e pievi della zona e per la storica abbazia di sant’Eutizio, simbolo devastato dell’identità religiosa di questa terra, dove mosse i primi passi un ancora giovane Benedetto.

“Veloci a ricostruire”. Raoul Paggetta, funzionario Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per l’Umbria, conferma la gravità del sisma del 30 ottobre ma esprime soddisfazione per il lavoro di messa in sicurezza sinora svolto “nella chiesa di san Benedetto, di santa Maria Argentea, di san Francesco. Cantieri all’opera a breve nelle chiese di san Lorenzo, di santa Rita, di sant’Antonio (campanile), di sant’Agostino, di sant’Agostinuccio, del Crocifisso, di santa Maria degli Angeli. Interventi sono stati fatti a Frascaro, a Popoli, a Cascia, a Preci, a Cerreto di Spoleto, a Campi.

“Speriamo che si possano ricostruire tutte le chiese. Ma non illudiamoci.

La collaborazione con la diocesi locale è importante. Il fine è comune, salvaguardare i luoghi di culto e le opere d’arte che contengono”. Ma la vera sfida da vincere, per Paggetta, è lo spopolamento dei piccoli centri e frazioni colpite dal sisma.

“Dobbiamo essere veloci a ricostruire. Se i giovani se ne vanno sarà tutto inutile”.

Lotta interiore. Parole condivise anche da Marcello Lucci, di Avendita, la casa inagibile dal 24 agosto: “Oggi facciamo esperienza di precarietà. In questi 8 mesi con la mia famiglia ci siamo aggrappati alle nostre radici, nel tentativo di credere che qui si può rimanere”. Una lotta interiore raccontata dai 5 figli di Marcello e di sua moglie Marina (Damiano, Samuele, Valerio, Gioele, Antonio): con il sisma “si rimane imprigionati fuori dalle proprie mura domestiche, potendo rientrare solo saltuariamente e furtivamente per riappropriarsi di qualcosa che riteniamo indispensabile; la verità è che non sappiamo cosa prendere e cosa lasciare. Abbiamo un grande bisogno di riprendere contatto, con gli oggetti, con le foto, coi letti, con il tavolo e le sedie… con la nostra vita. Ti trovi a ringraziare per essere ancora vivo e subito dopo a chiederti con cosa ti vestirai domani, a pensare che dopotutto poteva andare peggio e poi a riconoscere che avresti bisogno di una doccia calda”. “Abbiamo davanti un lungo tempo di riedificazione morale e materiale – dice Marcello e con lui la gente di Norcia – ma questo è il tempo di darsi prospettive nuove sperando in una ricostruzione veloce”. Perché le campane tornino a suonare il prima possibile.