Riflessione
L’alfabeto della fiducia riposta in ogni persona è quello con cui si scrivono ogni giorno storie di amore e di riscatto, lontane dal fragore dei media. Come quelle raccolte dalla cooperativa sociale “Punto d’approdo” nel volume “Madri in primavera” che sarà presentato venerdì a Rovereto.
Non si può maledire il nome della Madre, va riconosciuto e rispettato il nome di ogni mamma.
Nel mese di Maria, che il primo maggio al santuario di Pinè ha richiamato gli immigrati e che si concluderà con il pellegrinaggio dei giovani, Papa Francesco ha confessato sabato ai ragazzi di vergognarsi dell’ultima definizione bellica coniata negli Stati Uniti: “L’hanno chiamata madre di tutte le bombe, ma la mamma dà la vita, questa dà la morte. E diciamo mamma a quell’apparecchio. Ma cosa sta succedendo?“.
In questa bestemmia moderna, scaturita dall’armamentario di un’enfasi militare tutt’altro che smantellato, anche il nostro arcivescovo Lauro aveva riconosciuto un paradosso nell’omelia del Venerdì Santo: “Mentre riviviamo la passione di Gesù di Nazareth che muore gridando ‘Tutto è compiuto’ c’è chi esalta i formidabili risultati di una bomba chiamata ‘madre’. Ma una madre genera vita. Rifiutiamo con forza – aveva aggiunto mons. Tisi – anche solo l’idea che a uno strumento di morte venga dato il titolo di madre. Impressiona che il lessico della vita possa essere utilizzato con tanta tranquillità per definire le armi”.
Al contrario, l’alfabeto della fiducia riposta in ogni persona è quello con cui si scrivono ogni giorno storie di amore e di riscatto, lontane dal fragore dei media. Come quelle raccolte dalla cooperativa sociale “Punto d’approdo” nel volume “Madri in primavera” che sarà presentato venerdì a Rovereto.
Sono ragazze che non hanno conosciuto la loro madre, o giovani che sono state usate dal loro ragazzo “solo all’inizio gentile”, o signore percosse e abbandonate da mariti che non hanno voluto condividere i pesi della vita. Dodici storie, non tutte “riuscite” e tutte segnate dalla fatica di un vissuto quotidiano mai oleografico. Eppure, “madri in primavera” che sono state aiutate a rifiorire, a riaprirsi alla vita partendo spesso dalla “gemma” sorridente che attaccavano al seno. E questa capacità generativa, potenza iscritta nel cuore di ogni donna, si è riprodotta e moltiplicata nella cura dei bambini e nell’ambiente intorno, perché “dalla vita c’è sempre da imparare”, come scrive il coordinatore di Casa Fiordaliso: “Riconoscere la nostra e la loro umanità intrisa di successi e di errori – aggiunge – dà un senso alla nostra quotidianità e al nostro desiderio di essere uomini e donne in costante cammino verso gli altri”.
Una reciprocità che chiama e costruisce famiglia, uomo e donna insieme, come si ribadirà domenica 14 maggio nelle testimonianze all’Auditorium per “FamilyAmo”. Un dono e un impegno che parte dal riconoscimento del genio maschile e femminile e ribadisce il rapporto unico, viscerale, di ogni madre col proprio bambino e di ogni sposo con loro due. Un valore da “raccontare” e da testimoniare, più che sbandierare, in tempi in cui si vorrebbe arrivare per legge (o per sentenze della Cassazione) ad affermare la liceità di madri prese in prestito solo per la gravidanza, con bambini che non sapranno mai chi li ha “affittati” nel grembo. Ma anche tempi in cui si disconosce la peculiarità della relazione materna e si sostiene l’equivalenza con la pseudo-famiglia in cui ci sono due papà che vogliono far da mamma.
(*) direttore “Vita Trentina” (Trento)