Carcere e informazione
La domanda è semplicissima: perché Totò Cuffaro non avrebbe dovuto partecipare al seminario? È stato condannato, ha trascorso gli anni prescritti in galera. Secondo la legge, è rieducato, ha scritto libri sulle condizioni dei detenuti grazie ai quali ha rischiarato certe zone d’ombra della colpa e della pena. Oppure ci sono colpe che non possono essere mai rimesse?
Sono di questi giorni le polemiche per la partecipazione di Totò Cuffaro, ex presidente della Regione Sicilia, ad un corso che l’Ordine dei giornalisti ha organizzato ad Agrigento sul delicato rapporto tra carcere e informazione.
È notorio che Cuffaro è stato condannato a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, pena che ha scontato, prima di tornare in libertà. Qualcuno dei presenti però non ha gradito ed ha deciso di uscire dalla sala, manifestando il proprio dissenso, con tanto di foto e seguente post su Facebook.
Riccardo Arena, presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia, cronista di giudiziaria, ha però smorzato i toni: “Mi sembra una polemica eccessiva. Massimo rispetto per la decisione del collega, uno solo, che ha ritenuto di andare via. Ma non possiamo accettare che gli altri siano considerati quasi moralmente responsabili di non avere preso le distanze, chissà perché e da che, poi. Totò Cuffaro non era lì per dichiararsi vittima della giustizia, né per ripercorrere la sua vicenda processuale. Il tema era un altro e quel contributo era il resoconto della vicenda di un ex detenuto, al tempo stesso ex potente, con un’esperienza particolare a cavallo di mondi che di solito non comunicano”.
La domanda è semplicissima: perché Totò Cuffaro non avrebbe dovuto partecipare al seminario? È stato condannato, ha trascorso gli anni prescritti in galera. Secondo la legge, è rieducato, ha scritto libri sulle condizioni dei detenuti grazie ai quali ha rischiarato certe zone d’ombra della colpa e della pena. Oppure ci sono colpe che non possono essere mai rimesse?
Mi sento di condividere l’opinione di un collega, Roberto Puglisi su livesicilia.it: “Se Totò Cuffaro avesse tenuto un simposio sulla legalità o sulla politica, sull’etica, o perfino una prolusione sul suo processo, sarebbe stato logico alzarsi e protestare. Tuttavia, colui che un tempo fu il potente di tutti i potenti era lì per riferire della condizione di chi respira al chiuso di una cella, non per mettere in mezzo altro. Infatti, ai margini di ogni colpa c’è sempre una pena, c’è sempre qualcuno da ascoltare, da raccontare, da salvare nell’essenza della sua umanità. Non c’era la mafia, ad Agrigento, c’era una persona che narrava le trame ingarbugliate e dolenti di altre persone recluse. Chi se non un giornalista, uno che scrive di uomini, avrebbe dovuto cogliere la differenza?”.
Scrissi di Cuffaro, forse imprudentemente ai tempi della condanna di primo grado, attirandomi ire e minacce verbali e sperimentando che bisogna stare attenti a toccare i potenti. Ma cristianamente mi sento di applicare la norma sempre valida nella prassi della Chiesa: condanna del peccato, ma misericordia per il peccatore! Giornalisticamente poi i codici deontologici mi pare che parlino chiaramente del diritto all’oblio. Ci sarà pure la possibilità della redenzione anche per Cuffaro?
(*) direttore “Settegiorni dagli Erei al Golfo” (Piazza Armerina)