Festival dell'economia

La sanità più “uguale” passa dagli operatori

Organizzazione e gestione della sanità non sono solo una questione economica, a soluzione matematica. Purtroppo talvolta prevalgono scelte rigorosamente basate su parametri statistici (si pensi alla recente vicende dei punti nascita o ai famosi Lea, i livelli di assistenza che hanno impedito al Centro di Protonterapia un avvio a pieno regime), mentre la salute si trova sempre più a fare i conti con variabili culturali: il grado di istruzione, l’educazione dei cittadini, il condizionamento di modelli culturali (si pensi alle ludopatie o ai disturbi alimentari) o gli interessi commerciali dell’industria farmaceutica.

Sala d’attesa di un Centro specializzato della sanità trentina, appena due giorni fa. Un paziente dalla pelle olivastra e dall’italiano faticoso riceve un modulo da precompilare, possibilmente prima di entrare in ambulatorio. Allungandosi dalla sua carrozzina, traccia le crocette sul questionario, ma stenta a rispondere alle domande aperte. Non solo per la calligrafia incerta dovuta alla sua disabilità, ma anche per la difficoltà di comprendere appieno alcuni termini in perfetto burocratese. Cosa gli tocca fare?
Basterebbe quest’episodio reale – la conclusione la vedremo in fondo – per squadernare l’urgenza del tema-problema di questo 12° Festival dell’economia: “La salute disuguale”. Dove è fin troppo evidente che non sono solo i divari storici e geografici fra Nord e Sud (d’Italia e del mondo) a rendere impari l’accesso di molti cittadini ai servizi sanitari. Oggi dobbiamo registrare anche fattori nuovi e fenomeni emergenti come quello che l’Ocse (l’Osservatorio per lo Sviluppo Economico) chiama analfabetismo funzionale: Interessa il 47% degli italiani, una bella percentuale che “non è in grado di leggere i termini di un contratto, di compilare una domanda di lavoro, di interpretare o riassumere un testo”. Non è in posizione disuguale davanti ad una ricetta medica? o a un’informativa sanitaria?
Dunque, organizzazione e gestione della sanità non sono solo una questione economica, a soluzione matematica. Purtroppo talvolta prevalgono scelte rigorosamente basate su parametri statistici (si pensi alla recente vicende dei punti nascita o ai famosi Lea, i livelli di assistenza che hanno impedito al Centro di Protonterapia un avvio a pieno regime), mentre la salute si trova sempre più a fare i conti con variabili culturali: il grado di istruzione, l’educazione dei cittadini, il condizionamento di modelli culturali (si pensi alle ludopatie o ai disturbi alimentari) o gli interessi commerciali dell’industria farmaceutica.
Un caleidoscopio di fattori che la scienza economica deve riuscire a interpretare con l’ausilio di altre scienze. E che la politica deve orientare verso il bene comune. Conta tanto più per il Trentino autonomo, che esibisce con lo scoiattolo arancione tante eccellenze del settore sanitario, ma deve ritenersi sempre in coda, finché ci sono liste d’attesa davvero penose per chi soffre o sta in ansia e deve svenarsi per ricorrere a prestazioni a pagamento: non è vero che… basta la salute!
La Provincia autonoma riserva un terzo del bilancio annuale per il capitolo salute, ma questa dotazione non ci esime da un utilizzo trasparente e “verificato” dai risultati (stridono a proposito i megastipendi ai manager che centrano gli obiettivi), soprattutto in relazione a quei larghissimi spicchi di pianeta in cui la salute sta ancora in un evangelico bicchiere d’acqua pulita, scaturita da un pozzo. Come stanno documentando su Vita Trentina Alberto Folgheraiter e Gianni Zotta nel loro reportage sugli ospedali africani, ci sono ancora molte gocce da versare nel mare dei bisogni sanitari.
“A volte si pensa che un lavoratore lavori bene soltanto perché è pagato. Questo nega la dignità del lavoro, che inizia proprio nel lavorare bene, per onore”, ha detto il Papa a Genova sabato scorso. Questa responsabilità personale degli operatori vale anche negli ospedali dove la differenza la fanno spesso un direttore sanitario onesto, un primario che ascolta e si fa trovare, un infermiere o un operatore sociosanitario che non considerano il paziente per la patologia o il numero di stanza.
“Quando l’economia perde contatto con i volti concreti – diceva ancora il Papa, e vale anche per la sanità – essa stessa diventa un’economia senza volto, un’economia spietata”.
Per una salute più uguale insistiamo sulle persone, guardando alla cura , guadagno reciproco. Alla fine, anche il paziente dalla pelle olivastra ha lasciato sollevato la sala d’attesa: vedendolo in difficoltà, una segretaria dal camice bianco gli aveva riletto il questionario, aiutandolo perfino a compilarlo. In cinque minuti, un tempo breve per colmare una lunga diseguaglianza.

(*) direttore “Vita Trentina” (Trento)