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Grecia. Mons. Rossolatos (Atene): “L’Ue ci tratti da persone e non come numeri”

La crisi economica in Grecia fa sentire i suoi effetti anche sulla vita della Chiesa cattolica locale, i cui fedeli sono una esigua minoranza in mezzo alla stragrande maggioranza ortodossa. Non per questo l’arcivescovo di Atene e presidente dei vescovi cattolici greci, mons. Sebastianos Rossolatos, si nasconde: “La crisi è anche colpa dei greci, non è caduta dall’alto. Ma l’Ue – dichiara con fermezza – ci tratti da persone e non ci consideri solo dei numeri”.  Gli aiuti delle Chiese europee, in testa la Cei, copriranno i bisogni fino a novembre. “Poi non sappiamo cosa accadrà”

L'arcivescovo di Atene, mons. Sebastianos Rossolatos (Foto Sir/Rocchi)

“L’Ue dovrebbe essere un’unione di persone e di popoli e non solo economica e finanziaria. Non siamo numeri ma persone. La Grecia è schiacciata in questo momento”. Monsignor Sebastianos Rossolatos, arcivescovo di Atene e presidente dei vescovi cattolici greci, chiede rispetto per il popolo greco “che soffre. La gente è disperata. Tanti si sono suicidati”. L’arcivescovado ateniese è attaccato alla cattedrale di San Dionigi l’Areopagita, a poche centinaia di metri da piazza Syntagma, dove si trova il Parlamento ellenico e dove hanno luogo le grandi manifestazioni di protesta di questi anni di crisi. “Sin da quando ero parroco nell’isola di Syros – racconta al Sir l’arcivescovo – ho visto la sofferenza di tante famiglie che venivano a cercare aiuto. Da tre anni a questa parte la situazione è peggiorata. Diminuiscono gli stipendi, le pensioni e gli aiuti statali, aumentano la disoccupazione, le imposte e la povertà. Tantissime persone non riescono a far fronte agli affitti di case e negozi, alle rate del mutuo, quindi cercano nuove sistemazioni nella speranza di andare avanti. I proprietari, pur non riscuotendo affitti, devono pagare lo stesso le tasse che incidono sui redditi per il 50%”.

In che modo la crisi sta colpendo la Chiesa cattolica greca e le sue diocesi?
Le diocesi greche traggono i loro redditi non certo dalle candele o dalle offerte dei fedeli che vanno direttamente alle parrocchie ma dagli affitti di immobili di proprietà. Con queste entrate si possono aiutare le parrocchie e i sacerdoti a sostenere spese straordinarie non alla loro portata. Purtroppo non tutti riescono a pagare l’affitto e con le tasse da pagare non riusciamo a far fronte ai bisogni.

Per questo stiamo chiedendo aiuto alle Chiese sorelle d’Europa. Poche quelle che ci stanno aiutando, tra queste sicuramente la Cei, attraverso la Caritas.

Riceviamo aiuti anche per fronteggiare l’accoglienza di profughi. In Grecia si stima che siano oltre 50mila quelli rimasti dopo la chiusura della Rotta Balcanica. Migranti continuano ad arrivare anche se in numero minore rispetto al passato. Abbiamo sistemato diverse famiglie in alberghi affittati ad hoc. La situazione resta drammatica. Gli aiuti che abbiamo ci permettono di arrivare fino a novembre poi non sappiamo. Certamente dovremo tagliare ulteriormente le spese, chiuderemo la rivista e l’ufficio stampa, saremo costretti a licenziare dipendenti.

Ci sono effetti della crisi anche sul piano pastorale?
Da un punto di vista pastorale stiamo assistendo ad un fatto nuovo. Dopo la Seconda guerra mondiale abbiamo avuto tantissime vocazioni. Oggi la metà dei parroci cattolici in Grecia sono stranieri, molti polacchi, rumeni, qualche italiano. Da 50mila che eravamo, oggi i cattolici in Grecia sono 300mila (su oltre 11 milioni di abitanti), in maggioranza stranieri, un aumento che sta cambiando il volto della Chiesa locale.

Oggi la cattedrale di Atene non è più di greci ma di filippini, la chiesa dei gesuiti è composta da polacchi, nella terza parrocchia del centro di Atene si trovano filippini, africani e greci e via discorrendo. Questo è un bene ma c’è bisogno di preti che parlino la lingua degli immigrati.

Questi ultimi si stabiliscono dove c’è lavoro e non dove c’è una chiesa. Ne deriva l’esigenza di costruire luoghi di culto vicini le loro case ma questo comporta spese importanti impossibili con la crisi.

Circa i rapporti con la Chiesa ortodossa, la crisi vi sta spingendo ad una più concreta collaborazione sul campo?
I rapporti sono difficili. L’anno scorso abbiamo avuto un incontro per vedere come cooperare per i migranti ma non c’è stato seguito. Non ci sono rapporti ecumenici ma solo buoni rapporti personali tra fedeli, tra sacerdoti e vescovi.

In Grecia esiste una diffusa mentalità di disprezzo della Chiesa cattolica e, quindi, di paura.

Sono pochi i preti e i vescovi ortodossi che hanno il coraggio di farsi vedere in occasioni pubbliche promosse dai cattolici. La popolazione ortodossa conosce la Chiesa cattolica solo per quello che alcuni fanatici dicono di lei. Se ci fossero più occasioni di incontro molti greci scoprirebbero chi sono davvero i cattolici. Da parte nostra restiamo aperti verso la Chiesa ortodossa, rispettosi, per cercare di collaborare laddove possibile.

Come sono i rapporti con lo Stato?
Le relazioni con lo Stato greco stanno migliorando. Come vescovi cattolici abbiamo sempre chiesto allo Stato di definire la personalità giuridica della Chiesa cattolica in Grecia. La questione ha trovato una sua soluzione positiva con l’approvazione di una legge, nel 2014, votata a larga maggioranza che stabilisce che la Chiesa cattolica è un ente religioso di diritto privato. Così abbiamo ottenuto permessi per restaurare immobili, avere insegnanti di religione cattolica per gli alunni cattolici di alcune scuole medie e superiori.

Il prossimo 15 giugno l’Eurogruppo dovrà decidere l’erogazione ad Atene di aiuti tra 7 e 10 miliardi…
Scontiamo scelte politiche sbagliate compiute dai governi greci. La crisi economica non è caduta da cielo, è indubbio. Ma abbiamo bisogno che

l’Ue ci tratti non come numeri ma come persone.

Molti si sono tolti la vita per la disperazione. Questo ci fa soffrire. Dobbiamo pagare sempre, aumentano tasse e disoccupazione. Con quale speranza le nostre giovani generazioni possono guardare al futuro? Mezzo milione di giovani universitari e specializzati sono già emigrati all’estero. Come possiamo ricostruire il nostro Paese se i migliori vanno via?

Riscoprire i valori fondanti dell’Europa potrà servire all’Ue per un cambio di passo?
Credo sia necessario riconoscere l’insegnamento di Gesù. Un bisogno condiviso con gli ortodossi. Qui entra in gioco la fede che non è esteriorità ma convinzione personale.

La maggioranza dei battezzati oggi non conosce il Vangelo e i principi che esso promana. Che popolo di battezzati siamo? Riscoprire il Vangelo, questo è il bisogno primario.