Politica

Amministrative 2017: tra conferme e disaffezione per la politica

Il non-voto non è un bel segnale e tanto meno la via per cambiare le cose. Ora i nuovi eletti – sia chi ha vinto sia chi ha perso – dovranno tenerne conto per recuperare prestigio ed autorevolezza. Ma anche i cittadini – soprattutto quelli che si sono astenuti – dovranno fare un passo in avanti o meglio un passo in fuori rispetto al proprio “piccolo mondo”, per confrontarsi con la democrazia, che sarà certo un sistema con tante imperfezioni ma senza dubbio il migliore di cui disponiamo

I nove comuni della nostra diocesi, chiamati ad eleggere il nuovo sindaco, hanno votato. Solo in uno di essi – Cappella Maggiore – ha vinto lo schieramento di centrosinistra. Gli altri otto hanno visto affermarsi liste collegate al centrodestra. A volte con un margine lieve, altre volte con un distacco decisamente perentorio. Il M5S nei due comuni in cui si è presentato, cioè Conegliano e Prata, è giunto solo terzo, con poco più del 10 per cento dei voti.

Il campione di riferimento – quello dei nostri nove comuni – forse non è sufficientemente rappresentativo per poter tirare delle conclusioni trancianti. Tuttavia è possibile fare qualche considerazione, guardando le cose con un po’ di distacco e lucidità. Anche perché alcuni aspetti dell’andamento nazionale sembrano riverberare nei dati delle nostre amministrative. Un primo dato è che da noi sono state confermate in gran parte le amministrazioni uscenti (ben otto su nove). La maggioranza dei votanti ha dunque scelto per la continuità. Probabilmente perché, agli occhi della maggioranza, queste amministrazioni – pur con i propri limiti – hanno governato sostanzialmente bene oppure perché i più si sono sentiti rappresentati da esse e salvaguardati nei propri interessi.

L’altro dato – molto preoccupante – è quello dell’astensionismo. Nella Marca poco più del 50 per cento degli aventi diritto è andato a votare, ben al di sotto della media nazionale che si è attestata su un già striminzito 60 per cento. Si può ben dire che solo uno su due ha votato. Se ci pensiamo bene è davvero troppo poco. Il fatto segnala una distanza tra politica e popolo che è veramente grande e in progressiva crescita. Se riflettiamo sul fatto che le amministrative rappresentano il gesto democratico più vicino al territorio e i candidati al consiglio comunale sono persone generalmente conosciute (che si vedono per strada o in piazza o in negozio…), il dato non può che impressionare. Lasciamo stare la considerazione secondo la quale “se più persone fossero andate a votare, l’esito sarebbe stato diverso”. Non è questo che si vuole sottolineare, bensì la distanza tra istituzione e popolazione, che questa volta nemmeno i Cinque Stelle sembrano essere riusciti ad intercettare.

Ebbene, questa distanza indica una frattura tra politica e gente comune che deve preoccupare tutti. Se da un lato può esser vero che la politica o meglio gli uomini della politica in questi decenni non sono sempre stati all’altezza del proprio compito, bisogna riconoscere che declinare bellamente il diritto-dovere di votare non va nella direzione giusta. Certo, questa disaffezione per la cosa pubblica è un “trend” nazionale e anche internazionale: altissimo è stato l’astensionismo anche in Francia e in Gran Bretagna. E qualcuno obietterà il fatto che non è andato a votare perché non si sentiva rappresentato da alcun candidato oppure perché “i politici son tutti uguali”… In ogni caso il non-voto non è un bel segnale e tanto meno la via per cambiare le cose. Ora i nuovi eletti – sia chi ha vinto sia chi ha perso – dovranno tenerne conto per recuperare prestigio ed autorevolezza. Ma anche i cittadini – soprattutto quelli che si sono astenuti – dovranno fare un passo in avanti o meglio un passo in fuori rispetto al proprio “piccolo mondo”, per confrontarsi con la democrazia, che sarà certo un sistema con tante imperfezioni ma senza dubbio il migliore di cui disponiamo. Lamentarsi che “la politica non fa nulla per me” è un atteggiamento sterile e alla fine controproducente. In realtà la costruzione del bene comune attende il contributo di ciascuno e pertanto la domanda che ci si deve porre è: “E io che cosa posso fare per la mia comunità?”.

(*) direttore “L’Azione” (Vittorio Veneto)