Striscia di Gaza
Nell’indifferenza pressoché totale della comunità internazionale si consuma il dramma della Striscia di Gaza. Due milioni di abitanti, di cui solo 138 di fede cattolica, vivono in una emergenza umanitaria continua: mancanza di lavoro, carenze idriche e igienico-sanitarie e infrastrutturali dovute alle guerre e al blocco imposto 10 anni fa, quando Hamas è salito al potere, da Israele e Egitto. Da diversi giorni è in atto anche una emergenza relativa alla fornitura di energia elettrica, diventata terreno di scontro tra le due fazioni palestinesi, Hamas e l’Anp del presidente Abu Mazen. A pagarne le conseguenze l’intera popolazione gazawa. I pochi cristiani della Striscia provano ad andare avanti “concentrandosi sul presente per provare a renderlo più vivibile”. La testimonianza del parroco, padre Mario Da Silva, l’esperienza dei campi estivi parrocchiali e la denuncia: “Israele nega i permessi al personale religioso”
“Qui viviamo giorno per giorno. Non pensiamo al futuro. A quel futuro che solo un miracolo può regalarci”. Padre Mario Da Silva, parroco della Sacra Famiglia, l’unica parrocchia cattolica della Striscia di Gaza, nella zona di al-Zeitun, il quartiere orientale dove si trova anche la comunità ortodossa, usa le parole di alcuni suoi fedeli per rispondere alla “solita” domanda che giunge dall’altro capo del telefono, “com’è la situazione giù da voi?”. Da quando, 10 anni fa, il movimento integralista islamico Hamas ha preso il potere, provocando il conseguente blocco israeliano e egiziano, la vita nella Striscia è quasi impossibile.
Vecchi numeri e nuove emergenze. Secondo i vari organismi internazionali operanti nella sovrappopolata Gaza, il 42% circa dei due milioni di gazawi è disoccupato, l’80% vive grazie agli aiuti dall’estero e il 40% riceve acqua solo due volte a settimana. Carenze igieniche e sanitarie si sommano all’insicurezza alimentare e alle difficoltà legate alla lenta ricostruzione successiva alle campagne militari israeliane, “Piombo fuso” del 2009 e “Margine di protezione” del 2014 (3.500 vittime totali, 800 dei quali bambini), i cui segni sono ancora visibili sul terreno e hanno la forma di macerie di infrastrutture e case distrutte o danneggiate. Ora da diversi giorni si è aggiunta l’emergenza relativa alla fornitura di energia elettrica, divenuta campo di battaglia tra Hamas e l’Autorità nazionale palestinese (Anp) – del presidente Abu Mazen che controlla la Cisgiordania – con Israele, ente erogatore, spettatore interessato. L’Anp, infatti, per costringere Hamas a lasciare il potere nella Striscia, ha deciso di non pagare più per intero la bolletta a Israele, provocando la riduzione della fornitura.
Oggi a Gaza l’energia elettrica viene erogata solo per 2 ore e mezza invece che per 8. Il presidente palestinese ha anche tagliato del 30% gli stipendi a 70mila impiegati dell’Anp e ridotto il finanziamento per il gasolio della centrale elettrica di Gaza. Dura a riguardo la denuncia del responsabile dell’Agenzia per i rifugiati palestinesi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, l’avvocato danese Bo Schack: “Stiamo entrando in una nuova situazione di crisi. Abbiamo registrato la riduzione dei salari per gli impiegati dell’autorità palestinese. Una situazione non diversa da quella delle forniture elettriche e da quella, ancora più drammatica, nell’ambito delle forniture idriche”.
Scampoli di sorrisi. “Pensare al futuro in queste condizioni di vita è molto difficile, per questo è
meglio concentrarsi sul presente per provare a renderlo più vivibile”,
ammette al Sir padre Da Silva, che a Gaza guida una comunità composta da soli 138 fedeli. “Ho aggiornato i dati recentemente e siamo arrivati a questo numero grazie ai sei nati negli ultimi mesi”, aggiunge, prima di fare una pausa al telefono, quasi a riflettere sul futuro di questi piccoli. “L’erogazione di energia elettrica è stata notevolmente ridotta – conferma il sacerdote che è di origine brasiliana e appartiene all’Istituto del Verbo incarnato (Ive) – da otto ore giornaliere siamo passati a sole due ore e mezzo. Le condizioni di vita sono peggiorate: non è facile vivere senza luce e senza energia elettrica. Non abbiamo possibilità di usare l’aria condizionata – a Gaza le temperature sono molto alte in questo periodo – e non possiamo conservare i cibi nei frigoriferi”.
La piccola comunità cristiana (cattolici e ortodossi insieme raggiungono a malapena le 1.500 unità su una popolazione complessiva di due milioni di gazawi), spiega il parroco, “paga duramente il taglio degli stipendi degli impiegati e i pensionamenti decisi da Abu Mazen. Molti sono cristiani. Così se prima avevano desiderio di andarsene via da qui, ora questa voglia è aumentata ancora di più. A Gaza la gente è molto arrabbiata”.
Anche tra i religiosi la situazione non sembra migliore. “Non possiamo uscire dalla Striscia e questo per noi è un grande problema – dice preoccupato –
da qualche mese Israele nega i permessi.
Solo dopo alcune pressioni siamo riusciti ad averne per alcune consacrate. Permessi negati ad altro personale religioso. La prossima settimana devo uscire dalla Striscia ma non so se potrò rientrare. Vedremo se Israele deciderà di rinnovare o meno quelli in scadenza. Il Patriarcato latino si muoverà”. E così tra qualche razzo palestinese sparato in aria di tanto in tanto e qualche raid aereo israeliano, la vita scorre a Gaza. Con qualche sorriso. “Ora le scuole sono chiuse. Abbiamo da pochi giorni concluso il nostro Summer Camp (dal 1° giugno), cui hanno partecipato circa 200 tra bambini e ragazzi, cattolici e ortodossi, aiutati da 20 educatori. Sono state giornate intense e ricche di attività – afferma padre Da Silva – vissute all’interno della nostra parrocchia. La mattina adunata e inno del campo, la messa e la colazione. A seguire la catechesi e il tempo di gioco fino all’ora di pranzo. Nel pomeriggio tutti impegnati nei laboratori: musica, danza, circo, lavori in gesso, ricamo.
Sono stati giorni bellissimi in cui i nostri bambini hanno potuto accarezzare scampoli di vita normale, cosa che qui nella Striscia non è affatto facile”.
Perché a Gaza si vive “giorno per giorno. Senza pensare al futuro. Quel futuro che solo un miracolo può darci”.