America Latina
Il primo incontro tra il Papa e l’Amazzonia, finora solo sfiorato durante gli altri viaggi latinoamericani avverrà all’inizio del 2018, in Perù (18-21 gennaio), nel vicariato apostolico di Puerto Maldonado. Sullo sfondo l’idea di un Sinodo Panamazzonico
L’Amazzonia sta entrando nel cuore della Chiesa. Dopo la costituzione della Repam, la Rete ecclesiale panamazzonica che coinvolge le Chiese di dieci Paesi latinoamericani, e dopo la Laudato si’, l’enciclica che, più di ogni altra, le popolazioni amazzoniche hanno sentito vicina, presto sarà la volta del primo incontro diretto tra Papa Francesco e le popolazioni dell’immensa foresta. In attesa di un vero e proprio Sinodo panamazzonico, che traduca il cammino comune di queste Chiese in una voce forte e in scelte nuove.
Francesco nella “selva” a Puerto Maldonado. Il primo incontro tra il Papa e l’Amazzonia, finora solo sfiorato durante gli altri viaggi latinoamericani (durante i quali Francesco ha spesso incontrato i popoli nativi, i movimenti sociali, le periferie) avverrà all’inizio del 2018, in Perù (la visita nel Paese latinoamericano è prevista dal 18 al 21 gennaio), nel vicariato apostolico di Puerto Maldonado. Grande la gioia del vescovo che guida quella vasta fetta di territorio nell’Est del Paese. Afferma mons. David Martínez de Aguirre Guinea:
“Come può immaginare, la notizia ci ha lasciato sorpresa e una gioia tremenda, incredibile. È la dimostrazione che il cuore del Papa è vicino alle periferie. Certo, il sogno c’era, poi abbiamo capito che sarebbe venuto in Perù. Ma non pensavamo davvero che sarebbe passato per Puerto Maldonado. Una gioia incredibile per tutta la popolazione. Tra l’altro si tratterà del primo incontro di Papa Francesco in terra amazzonica. Già Giovanni Paolo II era stato a Iquitos, sempre in Perù”.
Prosegue il vicario apostolico di Puerto Maldonado: “Tutta la popolazione è molto contenta. Certo, non sempre le popolazioni amazzoniche sono consapevoli della valenza trascendente che ha la figura di un Papa. Ma i leader lo sono certamente. E hanno capito che al vertice della Chiesa
c’è un cuore amico
che li ascolta e li aiuta, che offre parole di speranza di fronte alle molte minacce che essi subiscono per le loro terre”. Il pensiero va subito alla Laudato si’: “È un’enciclica che si è posta molto bene in ascolto della problematica della difesa della terra e dei popoli indigeni. Quello della terra e quello dei poveri è il medesimo grido e l’enciclica lo dice molto chiaramente. Al tempo stesso, il documento denuncia il saccheggio delle risorse naturali di questi territori, quasi che essi fossero il giardino dei Paesi ricchi, e gli effetti di questo fenomeno: conflitti con gli indigeni, corruzione… L’enciclica ascolta le grida che arrivano da questi popoli”.
Dal Brasile arriva una voce di conferma, quella di padre Dario Bossi, missionario comboniano che opera ai confini tra gli stati di Maranhão e Pará: “Qui il problema principale è l’aggressione mineraria il saccheggio verso indigeni e agricoltori. A questa situazione si risponde creando reti comunitarie. Una di queste è la rete ecclesiale Repam, nata da un’intuizione di Papa Francesco, assieme al cardinale Claudio Hummes. È importante il lavoro di base”.
L’idea di un Sinodo Panamazzonico. Il punto d’approdo di questa azione ecclesiale, grazie sia alla spinta di Papa Francesco sia all’attività delle Chiese amazzoniche, potrebbe essere addirittura un Sinodo Panamazzonico. È stato proprio Papa Francesco ad ipotizzarlo, nel corso della recente visita ad limina dei vescovi peruviani, come ha rivelato il presidente della Conferenza episcopale peruviana, mons. Salvador Piñeiro García-Calderón. Per ora solo un’idea, che però sta camminando e viene vista con favore da mons. Martínez, che conferma: “La necessità di fare fronte alla globalizzazione e di indagarne le cause, la presenza di progetti estrattivi sempre più grandi ci chiedono di promuovere reti”. E ancora:
“Il Papa ci ha detto che è molto importante che ci troviamo tra noi vescovi dell’Amazzonia, per elaborare delle linee comuni e per esprimere la ricchezza non soltanto ambientale, ma dei popoli che abitano queste terre. Sono convinto che già questa idea del Sinodo stia camminando, che si stia vedendo come organizzare questo momento ecclesiale”.
Anche padre Bossi è favorevole all’idea del Sinodo: “La proposta del Sinodo è essenziale, immagino due tipi di impegno. Uno, per così dire, ‘orizzontale’: riqualificare e incentivare l’impegno locale, per un migliore servizio alla vita e all’ambiente. Un altro, invece, che chiamerei ‘verticale’: l’impegno delle Chiese per una coscienza critica, per un appello in difesa dell’Amazzonia, per farsi voce rispetto alle istituzioni e alla società civile”. Quello che padre Bossi immagina è “un processo lento, nella consapevolezza che molte delle situazioni di conflitto toccano molti interessi, dai quali a volte anche la Chiesa è toccata”. Un processo da vivere “nel dialogo insistente e nella convinzione che l’Amazzonia la si protegge assieme ai popoli”.
Sullo sfondo, “il grande tema dell’ecologia integrale”.
Prosegue il missionario: “Ci aspetta un grande lavoro, che deve necessariamente partire dall’ascolto, a partire da una riflessione sulle forme di spiritualità di cui questi popoli sono portatori, e dal loro stile di vita, il cosiddetto buén vivir, la loro relazione integrata con l’ambiente, con il creato”.
Ma parlare di un possibile Sinodo Panamazzonico significa anche mettere a tema il dibattito su nuove ministerialità in una Chiesa, come quella amazzonica, che soffre di uno scarso numero di sacerdoti chiamati a servire territori vastissimi. “Un Sinodo potrebbe pensare a passi concreti – afferma padre Bossi -. Senza perdere di vista l’universalità della Chiesa, Francesco mi pare aperto ad esperimenti per territori specifici. In queste regioni se non si pensa ad un servizio ministeriale più aperto, non si riuscirà a servire bene le comunità. Nel Chiapas, in Messico, abbiamo ad esempi il ‘diaconato indigeno’, con un percorso che valorizza le coppie e un percorso di dialogo interculturale”.
Conclude mons. Martínez: “Se ci sarà il Sinodo, immagino che cammineremo ecclesialmente. E ci chiederemo come fare perché i popoli indigeni si riapproprino della Chiesa. Bisognerà avere la capacità di reinventare, certo in comunione con la tradizione”.