Pontificato
Don Tonio Dell’Olio, presidente della “Pro Civitate Christiana”, traccia per il Sir un bilancio del 75° corso di studi cristiani che si è appena concluso ad Assisi. La scommessa: “I gesti di Papa Francesco possono diventare contagiosi”. Un contributo importante, assicura, può arrivare da un laicato adulto e consapevole
“La svolta di Francesco è fatta di gesti e di parole rivolti alla Chiesa e non solo ad essa. Vogliamo cominciare dall’ascolto, e questo è stato il primo passo”. Tonio Dell’Olio, presidente della Pro Civitate Christiana, descrive così il 75° corso di studi cristiani sul tema “Diamo futuro alla svolta profetica di Francesco”, che si è appena concluso ad Assisi con l’intervento del segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino. “Occorre rieducarci a confrontarci con il magistero pontificio”, la provocazione di Dell’Olio: “Siamo fin troppo allenati a leggere i discorsi, ma ci sono prese di posizione, gesti, che vanno letti, interpretati e ascoltati alla luce del Vangelo. Noi vogliamo scommettere che questi gesti del Papa possano diventare contagiosi”. Prossima tappa: proporre alle Chiese locali una riflessione più approfondita sulla Laudato si’, in modo da poterne mettere in pratica le indicazioni.
Il primo versante su cui vi siete interrogati ad Assisi è il “modello teologico” di Bergoglio. In che modo lo sintetizzerebbe?
Con una parola: tenerezza. Dio non è l’Onnipotente, se non nell’amore: la tenerezza scardina i parametri delle mafie e di chiunque si presenti come braccio armato di un Dio castigatore, potente nel senso più umano del termine.
Prima ancora della riforma della Curia, dell’Amoris Laetitia e delle altre trasformazioni in atto, la trasformazione-cardine di Papa Francesco è quella teologica.
È una visione diversa, forse capovolta di Dio: il nostro Dio – ripete spesso Bergoglio – è un Dio che perdona, che non si stanca mai di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di rivolgerci a Lui.
Il sogno di Francesco, come lui stesso ha rivelato ai giornalisti poco dopo l’elezione al soglio di Pietro, è quello di “una Chiesa povera per i poveri”. A che punto siamo, nella concretezza delle nostre comunità locali?
I passi avanti su questo versante ci sono stati, ma nel complesso siamo molto impreparati.
In un mondo dove tutto è economia, la povertà viene frantumata, appiattita solo sul possedere o non possedere.
Questo aspetto è naturalmente importante, ma la povertà non è solo quello. Di fronte ai diversi volti della povertà bisogna destrutturarsi, aprirsi, mettersi in uscita, non con l’atteggiamento di chi ha la verità da scaricare sulle spalle degli altri, ma con la capacità d’incontro e di dialogo propria di chi sa riconoscere anche nell’altro un pezzo di verità. In questa prospettiva, la povertà è molto più profonda della semplice rinuncia dei beni. L’umiltà è una forma di povertà: dirlo da Assisi diventa una provocazione alle nostre coscienze. San Francesco non ha soltanto rinunciato agli abiti firmati, ma anche a tutte le forme di potere e, proprio grazie a questa rinuncia, ha potuto incontrare liberamente i lebbrosi.
Tra i binari del vostro corso c’è stata anche una riflessione sull’ecologia a partire dalla Laudato si’: quale la lezione da raccogliere?
Come Papa Francesco c’insegna, c’è un doppio binario da tenere in considerazione per dare corpo ad un’autentica ecologia integrale: quello degli stili di vita, che comporta la capacità di rivedere le proprie abitudini, la relazione stabilita non solo con il creato ma anche con i beni, e quello del cambiamento strutturale, che implica la denuncia delle situazioni che si configurano come ingiustizie nei confronti del creato e dei più poveri.
Basti pensare al tema degli ecoprofughi, costretti ad emigrare per motivi ambientali, a fuggire dalle loro terre ormai desertificate a causa del nostro modello di sviluppo, di cui si prendono la parte peggiore.
Se pensiamo alla questione delle migrazioni non solo da Lampedusa in poi, ci accorgiamo che nel mondo c’è gente che rivendica e chiede pari dignità, ciò che le spetta e le abbiamo sottratto.
Lo “spirito di Assisi” soffia per Bergoglio anche sul versante del dialogo ecumenico e interreligioso…
C’è una netta continuità tra Francesco e i suoi predecessori: Giovanni Paolo II ha convocato qui i rappresentanti delle diverse religioni per pregare e impegnarsi a favore della pace. La difficoltà più forte oggi è riuscire a permeare dello “spirito di Assisi” le convinzioni e gli atteggiamenti delle diverse comunità di fede. L’auspicio è che il dialogo non sia confinato nell’ambito del confronto quotidiano, ma diventi pratica quotidiana, visita alle moschee e alle sinagoghe, per aumentare la nostra conoscenza e comprensione dell’altro, unire le forze e costruire ponti con i piccoli oltre che con i grandi gesti.
La “Pro Civitate Christiana” ha compiuto 75 anni. Cosa si augura per il futuro?
Credo che rimanga ancora attuale l’intuizione originaria dalla quale è nata: far acquisire dignità piena ai laici. Un principio, questo, fatto proprio dal Concilio Vaticano II e sancito dall’Evangelii gaudium. Mi auguro che anche i prossimi 75 anni siano all’insegna del protagonismo del laicato. Perfino la svolta di Papa Francesco non sarà realizzabile se non con un laicato più adulto e consapevole, capace di offrire il proprio contributo per accompagnare questa svolta storica.
I laici sono uomini e donne di frontiera, nei vari ambiti della vita quotidiana: nessun cambiamento sarà possibile se non si investe nei prossimi anni a favore della crescita di un laicato adulto e consapevole. Ecco perché qui ad Assisi, piuttosto che un corso, abbiamo pensato di fare un percorso: un cantiere.