Guerra civile
È una delle più gravi emergenze umanitarie e dei conflitti dimenticati: dal 2015 sono morte 10.000 persone. Due milioni di persone sono sfollate, solo 1 milione è tornato nelle proprie case ma le persone continuano a scappare a seconda di come si muove la linea del fronte. Ci sono 19 milioni di abitanti, il 70% della popolazione, bisognose di assistenza, di cui 17 milioni senza cibo a sufficienza e 14 milioni senza acqua potabile e servizi igienici. La metà delle strutture sanitarie sono state bombardate mentre la popolazione è stata colpita da una delle più gravi epidemie di colera della storia, con 554.197 casi dall’inizio del conflitto e 2.000 morti. Dalla capitale Sana’a parla Manzoor Ahmed Awan, vicedirettore del progetto di Oxfam nello Yemen
Lo Yemen entra nelle cronache italiane solo con qualche trafiletto per il conteggio delle vittime dei bombardamenti aerei: 14 morti in un raid saudita il 25 agosto, 35-41 vittime (a seconda delle fonti) un paio di giorni prima. Invece è una delle più gravi emergenze umanitarie e dei conflitti dimenticati in questo periodo della storia: dall’inizio della guerra civile, nel 2015, sono morte 10.000 persone. Due milioni di persone sono sfollate, solo 1 milione è tornato nelle proprie case ma le persone continuano a scappare a seconda di come si muove la linea del fronte. Ci sono 19 milioni di abitanti, il 70% della popolazione, bisognose di assistenza, di cui 17 milioni senza cibo a sufficienza e 14 milioni senza acqua potabile e servizi igienici. La metà delle strutture sanitarie sono state bombardate e il personale lavora senza ricevere lo stipendio da 9 mesi. Oltre alle ferite della guerra la popolazione è stata colpita da una delle più gravi epidemie di colera della storia, con 554.197 casi dall’inizio del conflitto ad oggi e 2.000 morti. La causa principale è la mancanza di acqua pulita. I Paesi occidentali, Italia compresa, continuano a vendere le armi ad entrambi i contendenti (le truppe governative appoggiate dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita e i ribelli sciiti della tribù houthi sostenuti dall’Iran) ma non si prodigano negli aiuti umanitari. Solo il 50% delle risorse necessarie sono arrivate a destinazione. Le organizzazioni internazionali, le Ong, fanno i salti mortali per raccogliere fondi e superare gli ostacoli come la mancanza di sicurezza, la difficoltà ad arrivare nelle aree più remote. Tra le più attive Medici senza frontiere e Oxfam, che continuano a denunciare la drammatica situazione. Negli ultimi giorni Oxfam ha potuto accertare un calo di nuovi casi di colera, ma le difficoltà non mancano.
“Questa è la seconda ondata di colera – racconta al Sir dalla capitale Sana’a il dottor Manzoor Ahmed Awan, vicedirettore del progetto di Oxfam nello Yemen -. Il tasso di contagiosità si è abbassato e i nuovi casi sono diminuiti e questo è positivo. Ma la mancanza di acqua pulita, di servizi igienici, l’insicurezza alimentare contribuiscono ad aumentare i rischi. Aver coinvolto 550.000 persone significa che è uno dei più vasti focolai e in queste condizioni può ripetersi ancora”. Gli staff umanitari, prosegue, “non riescono facilmente ad accedere ad alcune zone del Paese, ci sono ritardi nella concessione dei visti e minacce per la sicurezza ovunque”. Oxfam, comunque, è riuscita ad arrivare anche nelle aree più remote: “Abbiamo raggiunto oltre 430.000 persone fornendo servizi per la potabilizzazione dell’acqua – dice -. E dall’inizio del conflitto nel 2015 abbiamo assistito oltre 1,2 milioni di persone in tutto lo Yemen con acqua, servizi igienici, cibo”.
Combattimenti in prima linea e bombardamenti aerei. “Il conflitto è diventato parte della vita degli yemeniti – spiega Ahmed -. Ci sono combattimenti in prima linea, bombardamenti aerei frequenti e vittime civili. L’aeroporto di Sana’a è chiuso da un anno ai voli commerciali e si rischia anche la chiusura del porto di Hudaida, la via principale per far arrivare gli aiuti, che funziona ancora parzialmente”. Ahmed descrive un Paese con una inflazione aumentata del 30% soprattutto sui generi alimentari, con insegnanti e personale sanitario che non ricevono stipendi da 10 mesi e 17 milioni di persone che soffrono per la mancanza di cibo. Il menù quotidiano per tanta gente è veramente misero: pane e tè. Tutto ciò “con il 50% degli aiuti necessari ricevuti dai Paesi donatori”. “Come organizzazione lottiamo duramente per racimolare fondi e distribuire aiuti – denuncia -, per fare lavoro di advocacy sulla crisi umanitaria insieme alle altre organizzazioni, comprese quelle delle Nazioni Unite”.
Le tre priorità: “Aiuti umanitari, accordo di pace e no export armi”. Secondo Ahmed la guerra nello Yemen “non è solo un conflitto dimenticato, è una crisi umanitaria dimenticata”. Tre le priorità contenute nel suo appello: “Donatori che sostengano l’appello umanitario mettendo a disposizione risorse, quest’anno finanziate solo per il 50%; sedersi intorno ad un tavolo per risolvere la questione politicamente e pacificamente e trovare un accordo di pace; non sostenere la guerra vendendo armi ad entrambi i contendenti”.