L’intervista
Mons. Elkin Fernando Álvarez Botero, segretario generale della Conferenza episcopale colombiana (Cec), traccia un primo bilancio di questo storico viaggio. “Sabato – ci confida – ho potuto scambiare qualche parola con il Santo Padre, tutto è andato bene, il Papa era molto contento. Ha parlato dello slogan del viaggio, ‘Facciamo il primo passo’, c’è la sensazione che possiamo davvero voltare pagina, fare cose nuove”
Vista dalla Chiesa colombiana, ma potremmo dire da tutto il popolo colombiano, la visita di Francesco è stata un capolavoro. Il Papa ha trovato il giusto approccio e le giuste parole per affrontare uno dei viaggi più delicati del pontificato, in un Paese che sta uscendo da 52 anni di conflitto interno, ma che fatica ancora a trovare unità e concordia proprio sulle modalità del cammino di pace. Soprattutto, ha saputo fare “el primer paso”, come recitava lo slogan ufficiale della visita. Ed ha trovato milioni di persone disposte a muovere quel primo passo, o almeno a provarci.
È visibilmente soddisfatto mons. Elkin Fernando Álvarez Botero, segretario generale della Conferenza episcopale colombiana (Cec), che intervistiamo per tracciare un primo bilancio di questo storico viaggio. Ha seguito da vicino i primi tre giorni e mezzo della visita del Papa, soprattutto la giornata di sabato, a Medellín, diocesi della quale è vescovo ausiliare. E domenica 10 settembre è rimasto nella sua città, guardando a distanza l’ultima tappa che si è svolta a Cartagena.
“Sabato – ci confida – ho potuto scambiare qualche parola con il Santo Padre, tutto è andato bene, il Papa era molto contento. Ha parlato dello slogan del viaggio, ‘Facciamo il primo passo’, c’è la sensazione che possiamo davvero voltare pagina, fare cose nuove”.
Mons. Álvarez, quali sono i momenti e le parole che si porta maggiormente nel cuore di queste giornate?
Tre in particolare, le dico in ordina cronologico. Giovedì, a Bogotá, quando il Papa ha messo a fuoco il compito della Chiesa e la sua volontà di essere protagonista nel momento in cui il Paese ha bisogno di una trasformazione profonda. Lo ha fatto davanti al presidente Santos e poco dopo ha rivolto a noi vescovi un discorso che mi ha commosso totalmente, nel quale ci ha parlato dell’approccio spirituale, delle azioni cui siamo chiamati. Il secondo momento l’abbiamo vissuto a Villavicencio, venerdì, durante la cerimonia per la riconciliazione nazionale. Noi colombiani abbiamo un detto, il Papa è stato ‘dado en clavo’ (potremmo tradurre che ha messo a posto le cose, nel punto giusto al momento giusto, ndr). Il terzo momento l’ho vissuto sabato, a Medellín. Il Papa ha animato la vocazione cristiana, ha chiesto generosità e radicalità in particolare a sacerdoti, religiosi e religiose.
A questo proposito, ha rinnovato la richiesta ai sacerdoti di rinunciare ai privilegi e di uscire a incontrare le persone, soprattutto quelle ferite…
Sì, il Papa ci sta abituando ad un dizionario nuovo, e sabato ha “inventato” un’altra espressione, ci ha chiesto di “callejar” il Vangelo, di portare il Vangelo lungo le strade.
Torniamo al tema chiave della pace. Alla vigilia della visita c’è stato un gran dibattito in Colombia sul fatto se il Papa, come del resto annunciato, avrebbe fatto una visita apostolica o se, viceversa, avrebbe in qualche modo influito sul dibattito sociale e politico colombiano. Possiamo dire ora che si trattava di un falso problema? Il Papa ha annunciato la pace del Vangelo, ma questo annuncio non può che trasformare anche la società…
Sì, sono d’accordo. Il Papa non si è discostato dal proposito pastorale, questa è stata appunto una visita apostolica, ma era semplicemente assurdo pensare che non invitasse alla pace. La pace è Vangelo, non programma politico. E non si può dimenticare che questo Paese ha bisogno di pace.
E le pare che questo sia stato accolto dai colombiani?
Sono sorpreso dal modo corale con il quale ciò è avvenuto. I cattolici, ma anche tutti i cittadini in generale, hanno compreso che questo cammino è una necessità per il Paese. Qui, in Colombia, c’è stato un grande impatto anche mediatico, perfino una trasmissione sportiva si è soffermata sull’invito a mettere da parte odio e rancori.
Direi che il Papa ha risvegliato tutti.
Resta il problema della polarizzazione politica, che pure in questi giorni si è attenuata. L’ex presidente Uribe, fortemente contrario all’attuale processo di pace, ha scritto al Papa, attenuando i toni. Si può sperare che tale polarizzazione possa essere superata?
È vero, in questi giorni la polarizzazione non si è vista tanto. Ma il Papa è consapevole che essa esiste. Lo si è capito dalle sue parole, dal fatto che ha invitato a lasciare indietro rancori e divisioni. A questo Paese servono propositi comuni, pur nel rispetto delle idee diverse.
Il Santo Padre mi è sembrato molto cosciente che la riconciliazione non è una ricetta magica, ma il compito di ogni giorno, ha accennato alla zizzania che cresce assieme al grano buono. Proprio per questo è necessario rafforzare il buon seme.
Il Papa ha anche ripetutamente invitato a rimuovere le diseguaglianze, le ingiustizie. È un altro importante compito per il futuro?
Come Vescovi leggeremo attentamente, studieremo tutto quello che il Papa ha detto e riproporremo le sue parole. In questi giorni ha parlato molto di diseguaglianza, di povertà, di corruzione, della disgregazione e delle violenze nelle famiglie. Abbiamo avuto modo di riflettere molto sulla radice della violenza, sul compito educativo che ci aspetta.
E che dire del popolo colombiano in questi giorni?
Strabordante, straordinario, siamo andati al di là di ogni speranza. A Medellín erano presenti alla messa 1 milione e 200mila fedeli, tantissimi altri lungo le strade. Ho vista tanta gioia ed è emersa la devozione del popolo colombiano.
Il Papa, è partito, ma niente sarà più come prima?
Sì, niente sarà più come prima, ci aspettiamo che la visita porti novità, il fare cose nuove in Cristo.
Bruno Desidera