XXIV Giornata mondiale

Alzheimer. Con 600mila malati in Italia è emergenza. Servono piani di intervento per pazienti e famiglie

Oggi, 21 settembre, ricorre la XXIV Giornata mondiale dell’Alzheimer, la forma più comune della demenza senile che nel mondo colpisce quasi 47 milioni di anziani; oltre un milione 240mila nel nostro Paese, al cui interno si contano circa 600 mila malati di Alzheimer, un over 85 su quattro. Per questi pazienti mancano risorse e servizi di cura e assistenza adeguati. A rischio la salute psico-fisica dei familiari che li accudiscono

“In un contesto nel quale si sta diffondendo la mentalità secondo cui si può decidere se una vita sia degna o non degna di essere vissuta, la famosa cultura dello scarto di cui parla Papa Francesco”, la questione dell’approccio di cura ai malati di Alzheimer “ha bisogno anzitutto di una riflessione di tipo antropologico”. Non ha dubbi don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, che abbiamo incontrato alla vigilia del convegno “I numeri della demenza di Alzheimer in Italia. La riorganizzazione delle Uva. Dalla diagnosi all’assistenza” in programma oggi, 21 settembre, a Roma, in occasione della XXIV Giornata mondiale dell’Alzheimer, al quale interviene come relatore. A promuovere l’evento, con l’obiettivo di aumentare la conoscenza della malattia, sensibilizzare la popolazione contro il pregiudizio sociale e rivolgere precise richieste alle istituzioni, è l’associazione Sos Alzheimer, impegnata dal 2004 nell’assistenza ai pazienti e nel supporto ai familiari. Per don Arice “è necessario un recupero dell’ontologia a 360 gradi. Senza una visione ontologica nella quale ‘l’essere’ preceda ‘il come’, affronteremo questo tema solo in modo funzionalista negando il primato dell’uomo”.

Con l’aumento della popolazione anziana nel mondo è in forte crescita anche la demenza senile, epidemia silenziosa che, secondo il World Alzheimer report 2016, colpisce nelle sue diverse forme 46,8 milioni di persone. Di questi malati, il 50-60% sono affetti dal morbo di Alzheimer. In Italia si stima che la demenza colpisca oltre un milione 240mila persone, di cui circa 600mila malati di Alzheimer. Contro la progressiva perdita di memoria e di funzioni cognitivo-mentali, fino all’amnesia globale, all’incapacità di riconoscere anche i propri cari e di autogestirsi, ad oggi non esiste purtroppo una terapia risolutiva. L’unico intervento possibile è di tipo farmacologico, per rallentarne i sintomi, e di tipo psico-sociale per tentare di mantenere il più possibile le capacità cognitive e relazionali del paziente. Tra gli over 85, spiega Antonio Martocchia, geriatra dell’azienda ospedaliera Sant’Andrea di Roma, l’incidenza della malattia è di uno su quattro. Nove i “fattori modificabili” che, “se corretti in tempo, potrebbero prevenire la demenza”: bassa scolarità, diminuzione dell’udito, ipertensione arteriosa, obesità, fumo di sigaretta, depressione, inattività fisica, isolamento sociale, diabete. Cruciale la ricerca farmacologica, ma i tempi sono lunghi: un farmaco innovativo richiede sette-dieci anni di sperimentazione preclinica prima di passare agli studi sull’uomo (tre fasi) e all’eventuale registrazione, autorizzazione e commercializzazione. Attualmente sono in corso di studio decine di molecole. “Il lancio di eventuali nuove terapie – conclude Martocchia – potrebbe avvenire entro il 20122 – 2025”.

Secondo il report mondiale, gli attuali costi economici e sociali della demenza ammontano a 818 miliardi di dollari (poco più di 37 miliardi in Italia). Ma a pagare il prezzo più alto, mettendo a dura prova il proprio equilibrio psico-fisico-emotivo, sono i familiari (al 90% di sesso femminile) che si prendono cura dei propri cari affetti dalla malattia, per lo più in solitudine e privi di sostegno adeguato, costretti ad allentare i legami con l’esterno e a ridurre i contatti sociali. Per questo, don Arice, eletto nei giorni scorsi superiore generale della Società dei sacerdoti di san Giuseppe Benedetto Cottolengo, chiarisce immediatamente che dopo la riflessione antropologica “occorre individuare e mettere in atto condizioni per migliorare la qualità della vita non solo dei malati ma anche delle loro famiglie che se ne prendono cura, alle quali occorre garantire accompagnamento e sostegno”. Per Stefano Eleuteri, psicologo dell’Università di Roma “La Sapienza”, la diagnosi di Alzheimer comporta “una rinegoziazione di ruoli, funzioni e confini all’interno del sistema familiare”. Importante “offrire ai caregiver servizi di sostegno psicologico, aiutarli a conservare la rappresentazione interna del proprio caro che non riconoscono più, valutarne e monitorarne nell’arco di tempo il benessere psico-fisico”.

L’Irccs San Giovanni Di Dio Fatebenefratelli di Brescia, spiega il primario dell’Unità operativa Alzheimer, Orazio Zanetti, “organizza corsi di formazione dedicati a parenti, badanti, volontari, operatori. Con particolare attenzione ai familiari”. “Da vent’anni – aggiunge Silvia Di Cesare, educatrice del reparto Alzheimer – vengono organizzati anche gruppi di auto mutuo aiuto. Famiglie che si incontrano, coordinate da un operatore specializzato che fornisce loro gli stimoli giusti per affrontare in gruppo le problematiche tipiche di questa malattia”.

Per Maria Grazia Giordano, presidente fondatore e attuale portavoce di “Sos Alzheimer”, nel nostro Paese si registrano “regioni virtuose” come Lombardia e Toscana che “prevedono capitoli di spesa ad hoc per fronteggiare l’emergenza socio-sanitaria-assistenziale e supportare i familiari-caregiver nel difficile lavoro dell’assistenza”. Nel Lazio, invece, “i bisogni dei malati e le richieste di aiuto dei familiari non trovano adeguato riscontro in strutture, servizi, a volte addirittura in informazioni”. I tagli operati dalla politica “hanno ulteriormente penalizzato questa fascia di pazienti, abbandonati al loro destino”. Per questo, a conclusione del convegno non a caso ospitato in una sede istituzionale, Maria Grazia Giordano illustrerà insieme a Giovanni Capobianco, primario all’Ospedale Sant’Eugenio di Roma, precise richieste da rivolgere al mondo istituzionale “perché provveda al più presto e concretamente con piani di intervento a favore dei malati e dei caregiver familiari”. Le abbiamo chiesto quali. Ecco la sua risposta:“Contributi economici per nuclei familiari indigenti; risorse per la formazione di personale specializzato da mettere a disposizione delle famiglie; servizi diagnostici territoriali con tempi più compatibili con l’evolversi della malattia; servizi assistenziali territoriali – anche non farmacologici – per i malati anche sotto la responsabilità di associazioni idonee alle prestazioni”.