Politica e società

Conferenza sulla famiglia, non sprechiamo l’occasione

Il 28 e 29 settembre si tiene a Roma la terza Conferenza nazionale sulla famiglia. L’appuntamento, che arriva a ben sette anni da quello di Milano, è stato in dubbio fino all’ultimo. Anche per questo, è un’occasione da non sprecare per concentrarsi sui problemi reali e non perdersi in dispute ideologiche.

Sette anni d’attesa sono tanti, e sorvoliamo sul fatto che secondo la legge dovrebbero passarne solo due tra una conferenza e l’altra: in un paese come l’Italia, si deve mettere nel conto che certe indicazioni temporali siano vissute dal mondo politico più come un suggerimento che come una rigida prescrizione.

Ma proprio perché non è facile parlare di famiglia, la speranza è che di questa occasione tutti – non solo la politica, ma le diverse realtà sociali, il mondo del lavoro, la stessa informazione – vogliano fare tesoro.

E per farlo, sarà bene partire da un lavoro di sottrazione.
Per concentrarsi sulla famiglia e capire i suoi problemi, bisogna innanzitutto sottrarla alle dispute ideologiche e alle speculazioni pseudo-filosofiche che si guadagnano facilmente l’attenzione dei media ma finiscono per stravolgerne o mistificarne i reali connotati.

Riguardiamo titoli dei giornali e dibattiti politici sul tema di questi anni: abbiamo discusso (e litigato) di gender, di coppie omosessuali, di unioni di fatto, di fecondazione artificiale e utero in affitto. Tutti argomenti delicati, meritevoli di dibattito, in qualche modo ineludibili. Ma che toccano, diciamolo chiaramente, solo una ristretta minoranza degli italiani.
Certo, dicono i loro sponsor, i diritti sono tali e vanno affermati in sé, a prescindere dal numero di persone interessate. Ammesso e non concesso, rimane il problema di fondo:

ma della famiglia – quella che, sperando di non offendere alcuno, noi continuiamo per buon senso popolare a descrivere come “famiglia normale” – quando e quanto si è parlato? Ben poco o nulla, si deve purtroppo rispondere. Al più la vediamo spuntare nei rapporti dell’Istat, generalmente associata ai dati della crescente povertà.

Fissare almeno per due giorni lo sguardo sulla famiglia vera, è allora la precondizione perché questa conferenza non sia un’occasione sprecata o non si trasformi nell’ennesimo ring ideologico.

Una tentazione da evitare è invece quella di ridurre tutto il dibattito alle questioni economiche.
Che sono urgenti e pesanti – questo è fuor di dubbio – ma rischiano anch’esse di portare fuori strada se diventano l’unico campo di confronto. Gli 80 euro distribuiti a pioggia da Matteo Renzi sono la dimostrazione lampante di come la “strada monetaria” non risolva da sola alcun problema. Al massimo può alleviare un’emergenza, ma con un costo altissimo per i bilanci dello stato in rapporto ai benefici.
Così come la moltiplicazione dei bonus ha finito per rendere il welfare italiano un ginepraio inestricabile, invece di accompagnare chi ha più bisogno ed è spesso anche meno preparato a confrontarsi con la burocrazia.

Da dove partire, allora?
La strada indicata dal cosiddetto “fattore famiglia” rimane paradigmatica, per i suoi presupposti culturali prima ancora dei suoi esiti pratici.
Dire che è giusto pagare le tasse non in rapporto al reddito del singolo ma prendendo in considerazione la realtà del suo nucleo familiare, significa aver fatto proprio un assunto tanto antico quanto dimenticato nell’attuale clima culturale: e cioè che

la società non è composta da individui autonomi e separati l’uno dagli altri, ma che la verità profonda dell’uomo è scritta nella relazione. Che ciascuno di noi è immerso in una rete di rapporti che lo definisce come parte di una comunità. Che non tutto è riducibile alle leggi dell’economia, ma esiste uno spazio del dono, della gratuità, che è innato e prezioso. E che la famiglia è l’ambito in cui tutto questo si realizza nella sua forma più naturale e profonda, perché è lo spazio in cui si genera alla vita, la si protegge, la si cura fino al suo termine.

Solo se riusciremo a riappropriarci di questa innata sapienza, potremo poi trovare le soluzioni pratiche da tradurre in politiche di spesa e fiscali più amiche della famiglia.
Ma, soprattutto, potremo ridare alla famiglia quel ruolo centrale nella vita di una società che ha avuto per secoli e che negli ultimi decenni abbiamo visto man mano svaporare. O che, meglio ancora, abbiamo visto occultato dalla “narrazione artificiale” che si è andata imponendo, in nome di una liberazione dal peso dei vincoli che si è andata in realtà traducendo in una enorme crescita della solitudine.

Chi oggi guardi alla nostra società con occhi sgombri dai pregiudizi, non può non vederne tutte le fatiche.
Ripartire dalla famiglia, dire ad alta voce che non può esserci un paese forte se è composto da famiglie deboli, è prima di tutto un atto di verità.

Ed è anche uno stimolo forte, una provocazione che dovrebbe interrogare innanzitutto noi credenti.
Perché la famiglia – al pari di ogni altro valore – non la si protegge e tantomeno si salva riempendoci la bocca di slogan. La si propone vivendola ogni giorno, nelle sue fatiche e nella sua bellezza. E nulla più della bellezza sa essere contagioso.

(*) direttore “La Difesa del Popolo” (Padova)