Economia & finanza

Nota di aggiornamento Def. Ecco cosa prevede

Approvata nei giorni scorsi dal Consiglio dei ministri, è ora in attesa del via libera del Parlamento. Al di là del nome molto tecnico, si tratta di un provvedimento di grande interesse generale perché fissa le coordinate e gli obiettivi entro cui si muoverà la cosiddetta manovra economica, fondata sulla legge di bilancio da presentarsi alle Camere entro il 20 ottobre

La situazione economica e finanziaria è migliorata, le previsioni per i prossimi due anni anche (il governo stima una crescita dell’1,5% non solo per quest’anno, ma anche per il 2018 e il 2019). Il problema è che questa dinamica positiva è ancora troppo debole e, tra i vincoli europei di bilancio e l’impegno a tenere sotto controllo i conti pubblici, le risorse che restano disponibili per la politica economica attiva – sostegno all’occupazione giovanile e agli investimenti, lotta alla povertà, per citare i tre punti all’attenzione dell’esecutivo – sono molto limitate. Se ci sono, per quanto inadeguate, è merito della pur modesta ripresa economica e dei margini di flessibilità accordati dalla Ue in materia finanziaria, anche in virtù di una credibilità in questo campo di cui va dato atto al governo.
Si può provare a sintetizzare così, semplificando drasticamente, il quadro che emerge dalla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Def), approvata la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri e ora in attesa del via libera del Parlamento. Al di là del nome molto tecnico, si tratta di un provvedimento di grande interesse generale perché

fissa le coordinate e gli obiettivi entro cui si muoverà la cosiddetta manovra economica, fondata sulla legge di bilancio da presentarsi alle Camere entro il 20 ottobre.

C’è da ricordare innanzitutto che sui conti pubblici incombono le cosiddette clausole di salvaguardia, un meccanismo introdotto dal 2011 per rassicurare la Ue e i mercati a fronte dell’enorme debito pubblico italiano e che prevede l’aumento automatico dell’Iva nel caso in cui lo Stato non riesca a reperire le risorse pianificate nel bilancio. Aumento che sarebbe letale per l’economia in questa fase. Solo per disinnescare questo meccanismo, occorrono 15,7 miliardi di euro. Anche a immaginare una manovra economica leggera (si parla di 20 miliardi) ed escludendo realisticamente tagli macroscopici alla spesa e nuove tasse, il governo si trova a dover ricorrere a nuova spesa in deficit (cioè a fare altri debiti) per bloccare le “clausole” e avere un po’ di risorse da investire per sostenere l’economia. Nuovo deficit vuol dire, da un lato, confrontarsi con i vincoli europei in materia di bilancio; dall’altro, affrontare la sfida dei mercati finanziari, perché lo Stato si finanzia ordinariamente attraverso l’emissione di titoli (come i Bot) e il costo di questa operazione è strettamente collegato – attraverso gli interessi che sui titoli lo Stato deve pagare – all’andamento di tali mercati. Peraltro i due aspetti sono in qualche modo connessi, perché il consenso della Ue è un elemento che influisce positivamente sui mercati.

Nella Nota, il governo indica come obiettivo di deficit in rapporto al Prodotto interno lordo (l’indice che misura il valore di tutto ciò che viene prodotto da un Paese) l’1,6%, comprendendo in questo dato gli effetti della manovra in gestazione. A legislazione invariata il rapporto deficit/Pil sarebbe dell’1% e lo 0,6% in più, su cui ci sarebbe già un accordo informale con la Ue, equivale a circa dieci miliardi di euro, preziosissimi per aggredire la cifra necessaria a disattivare le clausole di salvaguardia. Allo stesso tempo il governo prevede una diminuzione del debito pubblico, sempre in rapporto al Pil, dal 132% del 2016 al 131,6% di quest’anno e al 129,9% del 2018. Sono variazioni minime, ma sarebbe la prima volta da sette anni che il rapporto debito/Pil scende e questo rappresenterebbe un segnale molto importante sia per la Ue che per i mercati. Per questo indicatore, come per il precedente relativo al deficit, è fondamentale l’aumento del Pil. Si tratta in pratica di frazioni e, come sanno anche gli alunni delle scuole, se aumenta il denominatore (cioè il numero che sta sotto la linea, in questo caso il Pil) diminuisce il valore della frazione. Naturalmente l’aumento del Pil implica anche maggiori entrate fiscali senza nuove tasse, perché crescono le attività economiche su cui viene applicato il prelievo. E anche questo giova ai conti pubblici.

Resta il fatto che il governo dovrà penare non poco per trovare altre risorse da destinare al sostegno della ripresa. Al momento si stima che le misure per favorire l’occupazione possano contare su non più di due miliardi di euro. Il premier Gentiloni, presentando la Nota di aggiornamento al Def, ha assicurato che la manovra economica “non sarà depressiva”. Nonostante i segnali positivi, il sentiero resta molto stretto, per citare l’espressione cara al ministro dell’Economia Padoan. Ci si muove sempre all’interno di un quadro europeo in cui, nonostante qualche spiraglio e la politica espansiva della Bce (che non durerà in eterno), i vincoli finanziari restano prevalenti sulle esigenze dell’economia reale.

Non è soltanto un problema di soldi, è lo stesso paradigma economico che andrebbe messo in discussione.