Consiglio permanente

Prolusione card. Bassetti. Non ha parlato un manager o un sindacalista, ma un uomo di Dio

Lo “snodo decisivo” è ineludibile, il presidente si fonda su Francesco “oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca”

In piena amicizia, senza giri di parole, incontrarsi con i confratelli vescovi è un’esperienza sanante. Lo sguardo può posare dove il bisogno urge, dove il grido, magari trattenuto, taglia lo spazio solcato dal pensiero gravido del buon annuncio del Signore Gesù.

Lo “snodo decisivo” è ineludibile, il presidente si fonda su Francesco “oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca”.

Esige sia riflessione sia impegno anche perché “quasi nulla è più come prima. Dobbiamo assumere la piena consapevolezza che stiamo vivendo in un mondo profondamente cambiato… In questa nuova realtà, sorgono nuove sfide e nuove domande a cui bisogna fornire, senza paura e con coraggio, delle risposte altrettanto nuove”.

Sfida non solo audace ma aspra e …prosaica perché non aleggia su discorsi fioriti o tranquillizzanti ma punta alla “maternità della Chiesa” che, molto spesso, è stata spiritualizzata o demandata ai tempi futuri, all’al di là. Nell’oblio dell’oggi. Perciò il richiamo suona determinante: “Una Chiesa che è incarnata nella storia, che non si ritira nelle astrattezze moralistiche o solidaristiche e che parla i linguaggi della contemporaneità in continuo movimento”.

Stasi, ripetizione, nostalgie vengono cancellati dal colpo di spugna della realtà.

L’incarnazione passa per tre priorità analizzate e consegnate ai vescovi pensati come “episcopi”, come coloro che vegliano su chi è affidato:

  • spirito missionario: “La Chiesa italiana sta in mezzo al popolo con la semplicità eloquente del Vangelo, senza altra pretesa che darne testimonianza. Il primato dell’annuncio del Vangelo fa tornare semplici. Talvolta fa archiviare progetti, non sbagliati, ma secondari rispetto a tale primato. Il nostro orizzonte diventa più semplice, ma non meno impegnativo: prima il Vangelo!”;
  • la spiritualità dell’unità: “La ricca complessità della Chiesa, però, non può essere ordinata con una geometria pastorale calata dall’alto. È necessario far maturare, in questo tessuto, una spiritualità dell’unità. Il cuore di questa spiritualità conduce a parlarsi con parresia, «a voce alta e in ogni tempo e luogo» (EG 259), a partire dal Consiglio permanente della CEI fino alla più piccola parrocchia d’Italia. Siamo chiamati a dare vita non ad una Chiesa uniforme, ma ad una Chiesa solidale e unita nella sua complessa pluralità. Si tratta dunque di un’autentica vocazione alla collegialità – tra i vescovi e tutto il corpo della Chiesa – e al dialogo”;
  • la cultura della carità: “Sinonimo della cultura di una vita, che va difesa sempre: sia che si tratti di salvare l’esistenza di un bambino nel grembo materno o di un malato grave; e sia che si tratti di uomo o una donna venduti da un trafficante di carne umana. Noi abbiamo il compito, non certo per motivi sociologici o morali, di andare verso i poveri per una missione dichiaratamente evangelica”.

Nessuno potrà sostenere di essere dimenticato o di non poter trovare il proprio posto di credente in un quadro così disegnato, incarnato e da incarnare.
Per questo il presidente dettaglia gli ambiti, estremamente concreti e emergenti dalla crisi che stiamo tutti affrontando: il lavoro; i giovani; la famiglia; le migrazioni.
Si noti il rilievo, in ciascuno dei quattro ambiti, dato alla concretezza non quella di un passato che ha porto la mano e aiutato ma con modalità ormai desuete, ma con il coraggio di aprire nuovi metodi, nuove strade:

“Sono almeno tre le strade che, a nostro avviso, vanno percorse e su cui invitiamo le istituzioni a guardare con decisione: il lavoro e il Mezzogiorno d’Italia; il lavoro e la famiglia; il lavoro e i giovani”.

Inoltre rimane vivo lo scottante tasto delle migrazioni, non ridotto in termini economici e di profitto ma nella sua logica altra, ben nota da secoli:

“È il cuore della nostra fede: di un Dio che si è fatto uomo. L’ospitalità è, da tradizione, un’opera di misericordia e, come ci insegna Abramo, una delle più alte forme di carità e di testimonianza della fede. Attraverso l’ospite noi scegliamo di accogliere o respingere Cristo nella nostra vita (Mt 25, 35.43). Il richiamo alla difesa della dignità inviolabile del migrante, inoltre, è un insegnamento presente in molti documenti della Santa Sede e che si è fatto carne nell’opera di alcuni grandi apostoli del passato, tra i quali molti italiani: Francesca Cabrini, Geremia Bonomelli, Giovanni Battista Scalabrini”.

Non ha parlato il sindacalista, il manager di un’azienda, ma un uomo di Dio per vivere il Vangelo, tutti insieme, da amici di Dio.