Società
Mi hanno colpito molto anche le parole che papa Francesco ha pronunciato all’udienza generale del 20 settembre scorso. In questa catechesi il cui titolo era “Educare alla speranza”, il Papa si rivolge ai giovani in modo diretto, dando del tu. E lo fa come farebbe un educatore o un padre
“Se si può tremare e perdersi / è per cercare un’altra via nell’anima: /strada che si illumina, / la paura che si sgretola, / perché adesso sai la verità: questa vita tu vuoi viverla”. Sono le parole dell’ultima canzone di Elisa, la cantante di Monfalcone che in questo 2017 festeggia 20 anni di attività musicale. Parole semplici – quelle di Elisa – e parole delicate, attraverso le quali continua, come in tanti altri testi delle sue canzoni, a diffondere ragioni per cui sperare e ad incoraggiare con garbo e dolcezza quanti ascoltano la sua musica. Certo, non si parla di fede – almeno non in termini espliciti – e tuttavia dentro a queste parole è come se ci si sentisse un po’ a casa, perché all’interno di questo linguaggio la grammatica di riferimento o l’alfabeto base non è poi così dissimile da quello di chi a tutto questo dà un nome preciso, grazie alla fede. E poi non va sottovalutato il fatto che tante persone, lontane per tanti motivi più o meno condivisibili dalla nostra predicazione e dalle nostre celebrazioni, si nutrono di queste parole per affrontare le sfide della propria vita e per fare le proprie scelte. Come quel giovane che mi confidò di essersi “salvato” proprio grazie alle parole di un altro cantante rock… E proprio di parole di speranza abbiamo bisogno oggi, come non mai! Parole che ci aiutino a dare credito alla luce (e non al buio), ad avere fiducia nella vita e a volerla vivere, proprio come canta Elisa “in ogni istante”.
Provocato da queste considerazioni, mi hanno colpito molto anche le parole che papa Francesco ha pronunciato all’udienza generale del 20 settembre scorso. In questa catechesi il cui titolo era “Educare alla speranza”, il Papa si rivolge ai giovani in modo diretto, dando del tu. E lo fa come farebbe un educatore o un padre. Davvero, una più bella dell’altra le espressioni del papa per incoraggiare alla speranza: una speranza – in questo caso – ben fondata su Gesù Cristo. “Lì dove Dio ti ha seminato, spera! Spera sempre! Non arrenderti alla notte… Tutto nasce per fiorire in un’eterna primavera. Anche Dio ci ha fatto per fiorire… Ovunque tu sia costruisci! E soprattutto, sogna! Non avere paura di sognare… E quando ti troverai impaurito davanti a qualche difficoltà della vita, ricordati che tu non vivi per te stesso… Abbi il coraggio della verità… E coltiva ideali… Se sbagli rialzati… Frequenta le persone che hanno custodito il cuore come quello di un bambino. Impara dalla meraviglia, coltiva lo stupore. Vivi, ama, sogna, credi. E con la grazia di Dio non disperare mai”. Uno dei testi più belli e appassionati che abbia letto: per i giovani certo, ma anche per chi ha qualche anno di più e sente il bisogno di una parola che rinfocoli la fiamma della speranza, che nel suo cuore arde ma ha bisogno di essere rinvigorita.
In sintonia con questa visione delle cose si è espresso recentemente anche il card. Bassetti al suo primo discorso da presidente dei vescovi italiani il 25 settembre scorso. Un discorso lucido e pacato, al tempo stesso liberante e pieno di speranza. Un discorso che, sulla scia delle indicazione profetiche di papa Francesco, cerca una via nuova per la Chiesa Italiana in questo tempo definito “non epoca di cambiamenti ma cambiamento d’epoca”. Tra le varie sottolineature, puntuali e ponderate, colpisce l’invito a tutti i cattolici perché portino in politica “la cultura del bene comune”, non a parole ma promovendo “processi concreti nella realtà” finalizzati all’edificazione del bene di tutti. E tra cattolici – ha detto in conclusione il cardinale – è tempo ormai di superare la divisione tra “cattolici della morale” e “cattolici del sociale”, perché “la dignità della persona umana non è mai calpestabile e deve essere il faro dell’azione sociale e politica dei cattolici”. Ed è questa, allora, la responsabilità altissima dei cattolici italiani, quella cioè di “essere capaci di unire l’Italia, non di dividerla”. O, in altre parole, di “rammendare il tessuto sociale dell’Italia con prudenza, pazienza e generosità”. Cercare vie di unità, quindi, animati dalla speranza di rendere migliore la nostra Italia, certo, ma anche la nostra Chiesa e in definitiva anche noi stessi.
(*) direttore “L’Azione” (Vittorio Veneto)