Cinema
È ancora “Blade Runner”. Da giovedì 5 ottobre arriva nelle sale italiane il sequel del film cult di Ridley Scott. A dirigere “Blade Runner 2049” è il canadese Denis Villeneuve. Tenendosi lontano dall’ingombrante passato, il film trova una sua originalità
“Blade Runner” del 1982 è stato un titolo che ha lasciato una forte impronta su tutto il cinema hollywoodiano e internazionale. Ridley Scott lo ha diretto con un incisivo taglio poetico ed evocativo, al punto che intere sequenze sono rimaste a lungo nella memoria dello spettatore. Era quasi inevitabile dunque che quella trama, quella serrata e implacabile caccia tra il poliziotto e la replicante, fosse destinata a riprendere vita, a non chiudersi con una semplice e laconica parola fine. Dopo trentacinque anni si così è tornati sul progetto; Ridley Scott ha deciso però di rimanere dietro le quinte, in veste di produttore, affidando l’eredità della storia, nata dalla penna di Philip Dick, al quotato regista canadese Denis Villeneuve, che negli ultimi anni si è imposto all’attenzione mondiale con “La donna che canta” (“Incendies”, 2010), “Sicario” (2015) e “Arrival” (2016). Il Sir con la Commissione nazionale valutazione film della Cei ha visto in anteprima il film.
Quale umanità ci attende? Gli interrogativi dell’agente K
È “Il cacciatore di androidi” di Philip Dick il romanzo su un futuro minaccioso e distopico che è all’origine del film “Blade Runner” del 1982, una storia di fantascienza fatta di sussulti e palpiti emotivi. Passati più di tre decenni dal primo adattamento cinematografico, la produzione si è concentrata su un plot corposo e intenso, giocato in modo paritario tra l’idea di “seguito”, appunto sequel, e quella di “recupero” del passato. Siamo ora nel 2049 in una Los Angeles più che mai cupa, oscura, battuta come al solito da una pioggia fitta e implacabile. Le strade brulicano di persone, quasi mai capaci di scambiare un cenno di conoscenza tra loro. Protagonista è l’agente K (Ryan Gosling), della polizia di Los Angeles, che si mette sulle tracce di possibili replicanti ancora in vita. L’obbiettivo è l’eliminazione. Conteso tra molti avversari e in difficoltà nel fronteggiare personaggi diversi, K intravede una via d’uscita quando incontra l’ex collega Rick Deckard (Harrison Ford), un blade runner, ovvero un cacciatore di androidi, che vive ormai in clandestinità, il quale porta con sé un segreto dalle ricadute sulla comunità umana in generale.
Un’operazione apparentemente impossibile, ai limiti della “profanazione” per i cultori del filone di fantascienza, di cui “Blade Runner” rappresenta uno degli snodi chiave nella storia del genere. In verità l’azzardo produttivo trova il suo senso, il suo specifico narrativo, mantenendo viva la memoria del film precedente, imboccando però un percorso altro, dignitoso e meritevole di attenzione. La regia di Denis Villeneuve si conferma esperta e solida, anche su terreni scivolosi. L’autore non rinuncia al taglio misterioso ed enigmatico del film originario, ma contribuisce anche al un suo rinnovamento. Proseguono infatti gli interrogativi esistenziali, domande laceranti sul destino dell’umanità, su un domani ormai prossimo in cui umanità e tecnologia convivono sino a fondersi.
“Balde Runner 2049” è pertanto una suggestione visionaria sulla deriva della condizione umana, smarrita in un vivere che ha perso l’orientamento.
Il personaggio dell’agente K, interpretato in maniera efficace e controllata da Gosling, rappresenta l’individuo in cerca di risposte, che non si rassegna alla scomparsa dei suoi simili rispetto a una vita ibridata con gli androidi. Inoltre, è chiamato riconsiderare le proprie prospettive nell’incontro con Rick Deckard – un Harrison Ford che non ha perso smalto né grinta –, che gli dimostra l’esistenza possibile tra uomini e androidi. Il film di Villeneuve così si addentra in percorsi filosofico-metaforici non cadendo nella trappola di avanzare risposte, ma congedando lo spettatore con rinnovati dubbi e incertezze. Sfide che appena poste restano in eredità allo spettatore.
Cosa piace di più di questo “Blade Runner 2049”?
Certamente la regia di Denis Villeneuve, sorretta da una scrittura di forte sostanza espressiva, quella di Hampton Fancher e Michael Green. Villeneuve, in particolare, rivela ancora una volta grande abilità nella gestione dei contenuti e degli interpreti, non perdendosi in un’operazione più grande di lui, ma marcando il terrendo con la propria visionarietà.
“Blade Runner 2049” è un film dalla impronta espressiva chiara e incisiva, muovendosi in armonia con il suo passato cinematografico. Probabilmente non siamo dalle parti di un nuovo capolavoro, ma di certo siamo lontani anche dal tradimento dello spirito originario.
Gli appassionati del genere non rimarranno delusi di fronte a un film che contribuisce comunque ad allargare i confini della fantascienza.
(*) Commissione nazionale valutazione film Cei