Sanità cattolica

Cottolengo: il nuovo superiore generale, “coniugare carisma e sostenibilità, ma al primo posto sempre i poveri”

In un’Italia caratterizzata da 22 sanità diverse, le istituzioni cattoliche devono mettersi in gioco coniugando carisma del fondatore, sostenibilità del sistema, domanda di cura di poveri e indigenti. E la vera emergenza è la disabilità mentale. Non ha dubbi padre Carmine Arice, neoeletto superiore generale della Società dei sacerdoti di san Giuseppe Benedetto Cottolengo e padre della Piccola Casa della Divina Provvidenza

Padre Carmine Arice, dal 2012 direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei e dal 2016 membro della Pontificia Commissione per le attività del settore sanitario delle persone giuridiche pubbliche della Chiesa, è stato eletto superiore generale della Società dei sacerdoti di san Giuseppe Benedetto Cottolengo e padre della Piccola Casa della Divina Provvidenza, di fatto presidente di tutta l’Opera ormai diffusa nel mondo. Lo abbiamo incontrato.

Padre Arice, che cosa porta con sé di questi cinque anni “romani”?
Sono profondamente grato alla presidenza della Cei nelle figure dei cardinali Bagnasco e Bassetti, e alla segreteria generale di mons. Crociata e di mons. Galantino. Da loro ho sempre percepito fiducia e sostegno. Questi cinque anni sono stati per me una bellissima esperienza di Chiesa, di comunione ecclesiale. Sono grato a Benedetto XVI per avere rilanciato i fondamenti teologici dell’antropologia. Con Francesco mi sono sentito chiamato a leggere la realtà nella quale dovevo lavorare alla luce di Evangelii Gaudium. Il prendere coscienza che la realtà è più grande dell’idea mi ha spinto a partire dall’ascolto delle situazioni per tentare di portare speranza nella concretezza dando nome e voce alle vittime della cultura dello scarto, ai volti e alla sofferenza che si nascondono dietro i numeri. Un ulteriore dono di questi anni è stata la conoscenza della Chiesa che vive sul territorio da nord a sud.

Che idea si è fatto della sanità italiana, anche di quella cattolica?
Purtroppo ho constatato un Paese molto disomogeneo quanto a interesse e investimento di risorse, a cominciare dalla sanità cattolica molto meno presente al sud che al nord; questo deve farci riflettere. Abbiamo veramente 22 sanità diverse, una per regione più le due province autonome.Per quanto riguarda la sanità cattolica, il peso gestionale delle tante strutture è diventato così oneroso da far talvolta dimenticare la mission globale di realtà nate in gran parte per prendersi cura della povera gente ma spesso carenti per quel che riguarda la cura globale della persona malata. Senza un approccio globale nel percorso terapeutico, il paziente rischia di sentirsi inutile, di peso, e chiederà di morire prima del tempo.

Bisogna creare le condizioni affinché nessuno chieda la morte, ma occorre inoltre sostenere la fatica, la stanchezza, a volte la disperazione, dei familiari che assistono i malati.

Quindici giorni fa mi è capitato di sentire parenti che, pur con il cuore spezzato, chiedevano di accompagnare la morte del loro caro con la sedazione e la sospensione di idratazione e nutrizione. Non si tratta solo di crisi antropologica ma anche di sfinimento per mancanza di aiuto e questo ci deve far riflettere.

In qualità di presidente di tutta l’Opera del Cottolengo, qual è la sfida per le istituzioni sanitarie cattoliche?
Anzitutto leggere la realtà e chiedersi, in quanto strutture cattoliche, cosa teniamo, perché lo teniamo e come lo teniamo. Perché dovremmo dannarci a mantenere in piedi istituti che non offrono nulla di diverso rispetto a ciò che offrono le strutture pubbliche? Dove eventualmente chi ha la possibilità di avere un approccio privatistico riceve un’immediata risposta rispetto al poveraccio che non ha i soldi e deve aspettare mesi come in qualsiasi altra istituzione. Grazie a Dio, al Cottolengo questo non sta succedendo, non è una realtà diffusa, però è un rischio che sta talvolta correndo certa sanità cattolica per sopravvivere. C’è il rischio di capovolgere l’obiettivo cosicché il servizio al povero diventa marginale rispetto al servizio “sostanzioso” dettato dagli orientamenti finanziari. Papa Francesco ha dato un’indicazione molto chiara: guardate la realtà, e con fedeltà creativa al carisma del fondatore abbiate anche la capacità di riconvertire le vostre opere qualora non rispondessero più al carisma originario.

Un lavoro coraggioso: si tratta di mettersi in gioco coniugando carisma fondazionale, sostenibilità del sistema, domanda di cura di poveri e indigenti.

Quale parola chiave per i suoi primi 100 giorni?
Ascolto. Desidero mettermi in ascolto di una situazione che conosco meno rispetto a quando l’ho lasciata per venire a Roma. In ascolto dei miei predecessori, in ascolto dei tanti collaboratori della Piccola Casa. La sfida è impegnativa anche perché stanno venendo meno le forze religiose e si stanno inserendo molti laici con un onere economico non indifferente (tenendo conto dei turni e delle ferie giustamente dovuti). Ci viene richiesto uno standard di requisiti assistenziali molto alto, ma le normative dovrebbero tenere conto della concretezza delle situazioni e delle risorse disponibili, e di quella variante che si chiama cura integrale della persona. Per me la direzione pastorale ha lo stesso valore della direzioni sanitaria, tecnica, amministrativa etc. Ormai l’Opera ha respiro mondiale. Vogliamo mantenere l’attenzione privilegiata alle realtà più povere che connota la nostra identità. Un ulteriore elemento è l’importanza di fare rete. Tutte le realtà-sorelle che, pur con un’identità propria, svolgono un servizio ispirato al carisma della carità e dell’assistenza simile al nostro, dovrebbero parlarsi di più.

Nell’immaginario collettivo il Cottolengo è famoso soprattutto per i suoi…
Mostri. Non abbia timore ad usare la parola “mostri” perché così sono stati definiti. L’Istituto è noto per avere accolto nel tempo e nella storia creature ritenute non degne di vita con disabilità molto gravi di tipo fisico-cognitivo associato. Quando sono entrato avevamo un reparto chiamato degli angeli custodi con idrocefali, macrocefali, adolescenti fisicamente non sviluppati. A Torino, dove abbiamo un’altissima richiesta di accogliere anziani, non ce ne sono quasi più, ma non sono spariti. Ne restano soprattutto al sud ancorché non nei numeri del passato. Certamente la salute è migliorata ma la ragione principale sono le diagnosi prenatali che mettono nelle condizioni di impedirne la nascita. Chi invece accetta di proseguire la gravidanza decide di tenere il bambino in casa.

Dal suo osservatorio le sembra cresciuta la sensibilità sociale verso la disabilità?
È cresciuta nei confronti delle disabilità motorie, ma non verso la disabilità cognitiva.

Oggi la grande povertà è la disabilità mentale, emergenza che in qualità di superiore del Cottolengo mi interpella profondamente e con cui l’Italia dovrà confrontarsi.

Nessuno ha la bacchetta magica, ma occorre rimanere con le orecchie e il cuore aperti. Come Ufficio Cei, con il tavolo della salute mentale abbiamo promosso il prossimo 2 dicembre al Palazzo della Cancelleria il convegno “Chiesa italiana e salute mentale”. Sarà un urlo alla società civile, ma soprattutto alla comunità ecclesiale, per dire che queste persone sono cittadini come gli altri e che l’art. 32 della Costituzione vale anche per loro.