Solidarietà
“Ridurre il senso di isolamento della comunità cristiana palestinese; animare alla carità nelle comunità parrocchiali per ridurre la povertà estrema; contribuire allo sviluppo economico attraverso la realizzazione di microprogetti di sviluppo”. Sono i tre obiettivi che si propone il programma di gemellaggio promosso da Caritas italiana, in collaborazione con Caritas Gerusalemme, denominato “Palestina: gemellaggi e pellegrinaggi”
“Ridurre il senso di isolamento della comunità cristiana palestinese; animare alla carità nelle comunità parrocchiali per ridurre la povertà estrema; contribuire allo sviluppo economico attraverso la realizzazione di microprogetti di sviluppo”. Sono i tre obiettivi che si propone il programma di gemellaggio promosso da Caritas italiana, in collaborazione con Caritas Gerusalemme, denominato “Palestina: gemellaggi e pellegrinaggi” presentato nei giorni scorsi a Roma a un incontro di approfondimento sulla situazione in Siria e Terra Santa, cui hanno partecipato diverse Caritas diocesane.
Una risposta solidale. Per Danilo Feliciangeli, responsabile del programma e coordinatore dei progetti di Caritas italiana in Medio Oriente,
“dare una risposta solidale rappresenta una soluzione imprescindibile in un tempo in cui non si vede una via di uscita verso la pace, in cui la situazione sociale e le condizioni economiche sembrano peggiorare”.
A pesare è anche il muro di separazione israeliano che condiziona ogni giorno la vita di 4,81 milioni di Palestinesi, segno eloquente dell’occupazione militare israeliana che dura da 50 anni (1967-2017).
Si tratta della più lunga crisi umanitaria della storia delle Nazioni Unite, come dichiarato il 6 giugno scorso da Robert Piper, coordinatore Onu per gli aiuti umanitari e le attività di sviluppo sottolineando come “vivere sotto una occupazione militare straniera per anni, genera disperazione, soffoca le iniziative e lascia generazioni in una sorta di limbo politico ed economico”. I dati lo dimostrano. L’agenzia delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha Opt) nel suo ultimo report denuncia che “il 44% del totale della popolazione palestinese, di cui più del 50% minori di 18 anni, è considerata ufficialmente con lo status di rifugiato, sotto protezione delle Nazioni Unite, bisognosi quindi di assistenza umanitaria. La disoccupazione è al 26,9% (dato settembre 2017). L’accesso alle risorse primarie, come l’acqua, la terra e l’energia elettrica, sono strettamente condizionati dall’amministrazione israeliana e oltre il 90% delle terre è privo di irrigazione. Israele, spiega l’Unctad (la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo), prosegue nell’espansione degli insediamenti dei coloni in violazione della risoluzione 2334 del Consiglio di sicurezza del 23 dicembre 2016.
Drammatiche le condizioni di vita della popolazione a Gaza, circa due milioni, dove il 56% d’età compresa tra i 15 e i 29 anni è senza un lavoro, dove il 35% delle terre coltivabili e l’85% delle acque di pesca non sono accessibili per i produttori. Oltre metà è in stato di insicurezza alimentare e l’80% riceve cibo sotto forma di aiuto o contributo sociale.
L’ostacolo maggiore allo sviluppo dell’economia palestinese e alla realizzazione dell’ipotesi dei due Stati –sottolinea l’Unctad – è rappresentato dall’espansione illegittima degli insediamenti dei coloni, che le risoluzioni Onu – l’ultima è la 2334- non arrestano minimamente. Nel 2016 la costruzione di case era in crescita del 40% rispetto al 2015.
La popolazione degli insediamenti è più che raddoppiata rispetto agli Accordi di Osio del 1993 e del 1995 ed oggi è compresa tra 600 mila e 750 mila abitanti. Contestualmente sono stati distrutti insediamenti di palestinesi: 1.094 strutture nel 2016, il doppio rispetto al 2015. E vengono abbattute anche costruzioni realizzate attraverso donazioni (il sostegno “donor” è crollato del 38% tra 2014 e 2016).
Superare la frustrazione. “Il nostro scopo – dice Feliciangeli – è aiutare le 15 parrocchie palestinesi a superare questa frustrazione perseguendo i tre obiettivi del progetto che per il 2018 prevediamo entri a regime”.
Alcune diocesi italiane, tra cui Reggio Calabria, Foligno, Piacenza, Concordia-Pordenone, Novara e Verona hanno già fatto un primo sopralluogo in Terra Santa lo scorso maggio per conoscere le parrocchie di cui intendono prendersi cura e stabilire le attività da realizzare per conseguire gli obiettivi fissati. “Per questo – aggiunge il coordinatore –
puntiamo decisi alla “costruzione di relazioni pastorali tra Chiese sorelle”
“grazie a pellegrinaggi solidali (visite alle comunità parrocchiali e condivisioni), campi di volontariato, scambio di volontari esperti, study visit in Italia, scambio tra sacerdoti o seminaristi, servizio civile. Il tutto con la cooperazione tecnica tra Caritas diocesane italiane e Caritas Gerusalemme, che insieme cercheranno di creare Caritas parrocchiali. In questo contesto si cercherà di sviluppare a livello parrocchiale microprogetti, per un importo massimo di 5.000 €, in grado di generare occupazione e reddito. Si tratterà di progetti sostenibili, in grado di proseguire autonomamente, senza il sostegno finanziario dall’esterno”.
Le Caritas diocesane che invece non fossero in grado di sviluppare veri e propri gemellaggi, potrebbero comunque contribuire al programma, organizzando “pellegrinaggi solidali” che permettono l’incontro e lo scambio con le comunità cattoliche palestinesi, con le tradizioni locali e con luoghi nuovi dal punto di vista storico e culturale.
La Caritas diocesana interessata ad organizzare un “pellegrinaggio solidale” in Terra Santa, potrà contattare l’ufficio “Medio Oriente” di Caritas Italiana che, con Caritas Gerusalemme e con l’Associazione Terra Santa, offrirà un supporto tecnico per la definizione dell’itinerario e l’organizzazione degli incontri solidali.