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Settimana Sociale. Il lavoro che (non) vogliamo

Dopo Cagliari, cosa arriverà dalla Chiesa per il futuro del Paese? Lo scopriremo solo vivendo fino in fondo la sinodalità di questi giorni…

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

La 48ª Settimana Sociale si è aperta mettendo in vetrina le potenzialità di giorni dedicati alla riflessione sul lavoro. Al centro del primo pomeriggio c’è stata la denuncia in un contesto di lavoro che sta velocemente cambiando. Prima di addentrarsi in proposte circa il lavoro che vogliamo, come dice il titolo della Settimana, la Chiesa italiana si è soffermata sul “lavoro che non vogliamo”.

Il rimando è andato ai volti sofferenti che si identificano in molteplici situazioni: i disoccupati del Paese, soprattutto giovani, le vittime sul lavoro, il lavoro immorale perché legato all’industria di armi o all’inquinamento dei territori, il caporalato, le donne costrette a scegliere tra lavoro e famiglia, la precarizzazione del lavoro… sono solo alcuni dei temi ricordati!

Tuttavia, quando la denuncia “non scade nel lamento assume i caratteri del problema che si intende risolvere” (Flavio Felice). Alla Settimana sociale è giunto il contributo determinante di papa Francesco, attraverso un videomessaggio. Egli ha ricordato che ci si santifica lavorando per gli altri, continuando così l’opera creatrice di Dio Padre. “Senza lavoro non c’è dignità”, ha sottolineato. La sua denuncia si è rivolta soprattutto nei confronti di lavori che non possono definirsi tali perché non degni e umilianti la persona. Anche il precariato genera angoscia di perdere il lavoro: “È immorale – ha concluso – uccide la dignità, la salute, la famiglia e la società. Il lavoro nero e il lavoro precario uccidono”.

La soluzione prospettata da Francesco sta in un nuovo modello di sviluppo, che sappia coniugare il lavoro con la cura per la casa comune, e in comunità fondate più sulla comunione che sulla competizione.

Alle parole di Francesco hanno fatto seguito le riflessioni di mons. Filippo Santoro, presidente del Comitato scientifico delle Settimane sociali, e del card. Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. Se il primo ha chiesto un intervento della Chiesa che parta dal cuore, quasi che ogni persona sia un figlio o un fratello da accompagnare senza raccomandare, l’arcivescovo di Perugia ha messo l’accento sulla novità di metodo, improntato sulla sinodalità.

L’aria che si respira tra i delegati non è di depressione, come spesso capita nei luoghi dove si parla di lavoro. Prevale il desiderio di ascoltare le persone e di impegnarsi in una proposta progettuale, che vada oltre le “chiacchiere della politica” (Gualtiero Bassetti) e che intercetti la necessità di un cambiamento di paradigma nel progetto di sviluppo attuale (Filippo Santoro).

Ci ha pensato Sergio Gatti, vicepresidente del Comitato scientifico, a rendere esplicita la volontà di assumere il coraggio come atteggiamento di fronte alle sfide che attendono la società italiana. Ha ricordato che, in passato, due settimane sociali hanno avuto il merito di affrontare il tema del lavoro: a Venezia nel 1946 e a Brescia nel 1970. Nel giro di pochi mesi da quelle iniziative ecclesiali è uscito l’articolo 1 della Costituzione e lo statuto dei lavoratori. L’auspicio è che il coraggio dell’intrapresa superi anche oggi la comoda pigrizia dell’attesa. Dopo Cagliari, cosa arriverà dalla Chiesa per il futuro del Paese? Lo scopriremo solo vivendo fino in fondo la sinodalità di questi giorni…