2 novembre e Summit sulle armi nucleari
Quello di Papa Francesco a Nettuno e alle Fosse Ardeatine “è un giudizio senza se e senza ma sulla guerra, qualunque guerra”. Massimo Toschi, esperto di cooperazione internazionale, commenta così il 2 novembre del Papa, che mette in relazione con l’imminente Summit in programma in Vaticano sulle armi nucleari. “La guerra si avvicina”, non è più possibile giustificarla
Per Massimo Toschi, ex assessore della Regione Toscana alla cooperazione internazionale, al perdono e alla riconciliazione tra i popoli, con il suo “giudizio senza se e senza ma sulla guerra, qualunque guerra” pronunciato il 2 novembre, Papa Francesco “apre una fase nuova, coraggiosa”, che vedrà una tappa ulteriore nel prossimo Summit convocato in Vaticano sulle armi nucleari. Se vogliamo un futuro di pace, dobbiamo “insegnare ai nostri figli ad accogliere senza se e senza ma” e a perdonare, perché “senza perdono si entra nell’abisso”.
“Non più la guerra, con la guerra si perde tutto”. Un secolo dopo Benedetto XV, il Papa al Cimitero americano di Nettuno è tornato a far risuonare questo grido. Come suona, oggi?
Il 2 novembre il Papa ha voluto andare al Cimitero di Nettuno e alle Fosse Ardeatine, e in questi due luoghi ha intessuto un dialogo con Dio. Per due volte, ha esclamato: “Signore, fermati!”. Una formula fortissima: sembra quasi che abbia voluto coinvolgere anche Dio dentro la guerra. In questo modo, Francesco si fa voce delle vittime. Dei 7.500 ragazzi giovani sepolti a Nettuno e di una donna giapponese vittima di Hiroshima, le cui parole – citate dal Papa – racchiudono in sé il mistero di tutte le vittime. Il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe – invocato da Francesco alle Fosse Ardeatine – è segno della volontà di stare con Dio, di lottare con Dio dalla parte delle vittime.
Quello del Papa è un giudizio senza se e senza ma sulla guerra, qualunque guerra. Non è più ammissibile giustificare, mettere aggettivi alla guerra, perché ogni aggettivo ci rende complici e in qualche modo attutisce la tragedia.
Papa Francesco apre una fase nuova: basti pensare al tema delle lacrime, che sono lacrime per il dolore, quando muoiono degli innocenti, ma anche di penitenza, purificazione, perdono e richiesta di perdono. I cristiani hanno troppe responsabilità sulla guerra, e il Papa lo sa: per questo è necessaria la penitenza, la richiesta di perdono. Le lacrime sono per il perdono, perché il perdono sia efficace: altrimenti si cade nella retorica, nell’astrattezza dei princìpi, nella sofisticheria delle frasi di comodo che hanno sempre giustificato la guerra e hanno fatto precipitare il mondo bell’abisso. È tempo di voltare pagina.
Nella Messa per i caduti di tutte le guerre il Papa si è riferito all’attualità: “Il mondo è un’altra volta in guerra e si prepara ad andare più fortemente in guerra”.
È notizia di oggi. Basti pensare a ciò che sta accadendo nello scacchiere dell’Estremo Oriente, dove c’è un movimento di armi terribile, con dispiegamenti di forze devastanti. Del resto, quando si producono armi, poi si vendono e si utilizzano.
La guerra si avvicina, e noi abbiamo sempre una giustificazione per essa.
Di fronte a questa tragedia che avanza, ci fasciamo la testa, complici di questo abisso. Ognuno ha le sue responsabilità in questa tragedia. Bisogna esserne lucidamente consapevoli.
“Le guerre non producono altro che cimiteri e morte”, ha detto il Papa nell’Angelus del 1° novembre, e a Nettuno ha aggiunto: “La guerra è distruzione di noi stessi”. Perché l’uomo non ha ancora imparato la lezione, o come dice Francesco non la vuole imparare?
Nonostante tutto, c’è ancora la possibilità di costruire la pace: non è vero che il cielo sia tutto chiuso. Il Dio di Gesù è racchiuso nel mistero di Gesù crocifisso e risorto, che rinnova il mistero di tutte le vittime.
Sono le vittime che domandano perdono e cambiano la storia.
Un esempio per tutti, la testimonianza di Nelson Mandela e di tante persone che sulla terra seminano perdono e riconciliazione, come ha fatto recentemente il Papa in Colombia e si prepara a fare in questa settimana con il summit in Vaticano sulle armi nucleari. L’era atomica è iniziata quando Giovanni XXIII ha scritto la Pacem in terris e c’era la crisi di Cuba. Oggi viviamo una stagione analoga, sia pur diversa: Francesco ci esorta a seguire la via dei piccoli, dei diseredati, di coloro che perdonano e sono perdonati. C’è oggi un’autorità delle vittime sul Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe: Papa Francesco ci indica una strada nuova, coraggiosa, che mette insieme e non divide le persone. Siamo ad un crocevia: la nostra responsabilità è altissima.
Nel Sacrario delle Fosse Ardeatine il Papa è entrato da solo, a piedi, in silenzio, come ad Auschwitz. C’è bisogno di memoria? Cosa ci insegna la lezione della Resistenza, in un tempo in cui risorgono revisionismi di segno opposto?
Francesco ha pregato, ha deposto fiori, ha parlato con i parenti delle vittime. Mi sarebbe piaciuto che fosse stato presente anche il presidente Mattarella. L’Italia ha lì la sua fonte: nelle Fosse Ardeatine, a Marzabotto, a Sant’Anna di Stazzema, in una serie di luoghi dove dei cittadini hanno dato la vita e parlato con la loro testimonianza.
Bisogna ascoltare, come ha fatto Francesco, le parole e il silenzio senza fine, che tocca il cuore e la coscienza, perché è eco del “Dio muto per i muti”, come diceva un rabbino ebreo. Un monito anche per le generazioni future.
Dalla Somalia a New York, passando per l’anniversario di Caporetto: cosa augurarsi nello scenario geopolitico, per non compromettere il futuro dei nostri giovani?
Dobbiamo insegnare alla persone, ai nostri figli, ad
accogliere senza se e senza ma,
perché l’accoglienza non è un’operazione sociale o politica: è un atteggiamento spirituale di fondo che ci pone al cuore della storia e della parola del Vangelo. Nello stesso tempo, dobbiamo insegnare a perdonare, perché senza il perdono si entra nell’abisso, dove non riusciamo neanche più a riconoscere noi stessi come persone amate dal Signore. Così, entriamo in un meccanismo fuori controllo che dà luogo ad una moltiplicazione di tragedie. Oggi, tuttavia, ci sono anche i segni di un tempo nuovo: il Papa tra poco partirà per il Myanmar, segno dell’apertura verso il grande mondo della Cina. Ci sorprenderà ancora, come con il Summit imminente.