Orientamenti pastorali 2017 - 2018
Il nuovo superiore del Cottolengo presenta gli Orientamenti pastorali 2017-2018, invita a combattere la cultura dello scarto, a promuovere e proteggere ogni giorno la dignità della persona umana e avverte: “La grande sfida è un umanesimo nuovo che non ignora la domanda di senso posta dalla fragilità”
“Nessuna esistenza è casuale o inutile”. Ne è convinto padre Carmine Arice, superiore generale della Società dei sacerdoti di san Giuseppe Benedetto Cottolengo e padre della Piccola Casa della Divina Provvidenza. Presentando il 9 novembre alla Piccola Casa a Torino gli Orientamenti pastorali per il 2017-2018, il religioso premette che “la Piccola Casa è una comunità ecclesiale che ha una sola ragion d’essere: spinta dalla carità di Cristo vuole prendersi cura della vita fragile, sofferente e povera”.
“Siamo consapevoli che nessuna esistenza è casuale o inutile perché l’uomo ‘è cosa molto buona’”,
afferma facendo proprio il tema pastorale “Un altro sguardo sulla vita. Dio vide quanto aveva fatto ed era cosa buona”, scelto dal predecessore don Lino Piano. Nel richiamare il discorso di Papa Francesco alla Piccola Casa nel 2015, precisa: “Combattere la cultura dello scarto” denunciata dal Pontefice significa anzitutto “cambiare mentalità e ritenere che una persona non è degna di vivere perché forte, intelligente, socialmente utile e produttiva, esteticamente attraente, ed economicamente non impegnativa, ma perché è dono di Dio”.
Per il superiore del Cottolengo, “il mondo contemporaneo ha davanti a sé una grande sfida: la promozione di un umanesimo nuovo e veritiero che non ignora o rimuove quella domanda di senso che la fragilità umana pone con insistenza”. Di qui il richiamo al tema pastorale e all’immagine prescelta per riassumere il messaggio lasciato dal Fondatore: “Quella del triangolo – ad onore della Santissima Trinità -, con al centro l’occhio provvidente di Dio”. Uno sguardo sull’uomo “che non incute timore ma dice presenza che accompagna, non è invadente e fastidioso e nemmeno minaccioso e pieno di giudizio, ma tenero e misericordioso, paterno e provvidente; è lo sguardo di un padre vero, appunto, che vuole portare tutti a pienezza di vita e salvezza”. A questo sguardo si è ispirato san Giuseppe Benedetto Cottolengo e la sua testimonianza “ci insegna che guardati con amore, guardiamo con amore”.
Ripercorrendo i numerosi passi del Vangelo sugli “sguardi di Gesù”, il superiore generale ne evidenzia “la straordinaria capacità di guardare le fragilità umane”. E un nuovo sguardo viene offerto proprio dalla fragilità, “scuola da cui imparare perché da essa acquisiamo occhi simili a quelli dei gufi, capaci di vedere, nelle notti dell’esistenza, la stella della verità”.
“Anche la fragilità del nostro corpo – sostiene p. Arice – ci dona un altro sguardo sulla vita e, se lo guardiamo con sincerità, ci accorgiamo immediatamente che, per quanto possiamo esaltarlo e truccare, esso è anche limite, e che porta con sé il limite ontologico per eccellenza: la morte”. Ma il limite, avverte, “ha la sua sfida: essere superato dal senso che gli diamo e per questo possiamo guardarlo con simpatia”. Dal superiore generale l’esortazione a non dimenticare che
“è proprio lo sguardo la prima forma di cura. Gli occhi arrivano prima delle mani e sono la finestra del cuore”.
“Con lo sguardo si può distruggere una persona o ricostruirla”. Infine un monito: il riconoscimento dell’incondizionata dignità della persona umana “non può essere soltanto proclamato o scritto, ma è un impegno che va perseguito ogni giorno nella concretezza delle situazioni, nel servizio quotidiano ai più poveri, nel difendere i loro diritti e promuovere la giustizia”.