Istituto Giovanni Paolo II
La Chiesa, e la teologia, deve sapersi attrezzare, anche con nuovi linguaggi, ad “abitare” la famiglia, “nella buona e nella cattiva sorte”. Parla mons. Pierangelo Sequeri, alla vigilia del “Dies academus” del Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II
“È stato un anno ricco di eventi e anche di novità particolarmente rilevanti per l’assetto della nostra istituzione”. Mons. Pierangelo Sequeri, alla vigilia dell’inizio del nuovo anno accademico, che verrà inaugurato il 16 novembre, traccia per il Sir un bilancio del suo primo anno da preside del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia, partendo dal discorso del Papa per l’inaugurazione dello scorso anno accademico.
Quali sono stati i punti qualificanti dell’impegno che il Papa vi ha chiesto per il futuro?
In primo luogo, si tratta della conferma e della vitalità della “lungimirante intuizione” del santo Papa Giovanni Paolo II, che ha fortemente voluto una istituzione accademica specificamente dedicata alla ricerca e alla formazione. La validità di questa intuizione, confermata dai “segni dei tempi”, ci sollecita a fare tesoro della “forma cattolica” del suo programma, che non vuole chiudersi negli angusti limiti di una rigida ideologia di scuola, ma mette la migliore intelligenza della fede a disposizione della Chiesa universale: attrezzandola al confronto critico, ma anche al colloquio e allo scambio riflessivo, con le migliori espressioni delle tradizioni religiose e della contemporaneità culturale. La nuova congiuntura epocale assegna alla teologia uno speciale compito di chiarificazione e di motivazione della verità umana e cristiana del progetto coniugale e famigliare. La nuova sensibilità ecclesiale, dal canto suo, deve anche farsi carico, con più generosa intelligenza della fede che salva, della vulnerabilità e della complessità che caratterizzano la storia vissuta e i passaggi difficili – spesso realmente drammatici – della sua attuazione.
La fede e la vita della Chiesa devono dunque saper abitare la storia famigliare dell’uomo, nella buona e nella cattiva sorte, senza abbandonarla al proprio destino.
Come giudica lo “stato di salute” della famiglia e del matrimonio?
Molte difficoltà e smarrimenti che insidiano l’odierna vita coniugale e famigliare, rendono difficile, e spesso anche doloroso, il discernimento dei modi attraverso i quali la grazia dell’amore di Dio sorregge l’esercizio delle virtù coniugali e famigliari. Questo oscuramento è certamente aggravato da una
diffusa incertezza a riguardo della verità e della sostenibilità del vincolo – e in generale dei legami – nei quali la condizione coniugale e famigliare dell’uomo, della donna e della generazione possono lietamente fiorire e maturare i loro frutti migliori.
La latitanza e le reticenze delle istituzioni politiche, insieme con la pressione di conformità esercitata dalle odierne dinamiche sociali e culturali, contribuiscono in molti casi ad aggravare gli effetti di questa vulnerabilità della condizione famigliare. La Chiesa non può sottrarsi al compito di condividere questa condizione. E lungi dal prenderne distanza, deve frequentarla – e anzi, generosamente abitarla – con tutto l’amore, con tutta la misericordia, e con tutta l’energia di cui dispone da parte dello Spirito di Dio.
In che modo il Sinodo sulla famiglia e l’Amoris Laetitia devono orientare questo percorso?
Il duplice appuntamento sinodale dei vescovi ha vigorosamente richiamato l’attenzione dei credenti, come anche di tutti gli uomini e le donne di buona volontà, sulla difficoltà globale di orientare il sentimento e l’impegno dei popoli al lieto compimento coniugale e famigliare dell’amore intimo e fecondo dell’uomo e della donna. La speciale attenzione che le comunità cristiane devono dedicare all’annuncio evangelico e alla cura pastorale delle virtù coniugali e famigliari è stata rilanciata dall’esortazione apostolica Amoris laetitia, che ora segna, autorevolmente e incisivamente nello stesso tempo, i contenuti e lo stile sui quali la Chiesa deve registrare il suo profilo ministeriale e testimoniale. La Chiesa deve certamente avere anche una teologia appropriata per l’intelligenza e la pratica di questa carità pastorale della fede.
C’è bisogno di un “aggiornamento” sul versante teologico?
Non c’è alcun dubbio sulla necessità che l’Istituto riconosca l’urgenza di una ricerca e di una formazione teologica seriamente attrezzata per il confronto con l’ampiezza della problematica antropologica che investe oggi la relazione dell’uomo e della donna nel suo complesso, con le sue profonde implicazioni sulla visione del legame sociale e sulle strutture della convivenza civile.
L’esperienza della relazione personale, in tutte le sue forme, come anche i modi di vivere la corporeità, appaiono oggi interpretate, plasmate e articolate secondo modalità inedite della libertà e dei vincoli, sulle quali incide fortemente la pervasività della sfera economica, tecnica, giuridica che oggi modella le istituzioni e il costume. Il discernimento morale, il confronto interreligioso, la dialettica culturale, impongono direttamente al singolo problemi di orientamento che stanno in tensione con l’incalzante offerta di nuove possibilità per l’autonoma ricerca di realizzazione personale, affettiva, spirituale dell’esistenza.
Una teologia ispirata dall’impegno di sostenere con intelletto d’amore la carità pastorale della fede ecclesiale sarà anche una teologia meglio attrezzata per la formulazione di linguaggi idonei alla concreta e propositiva mediazione culturale della sapienza cristiana che illumina la vita.
Cosa cambia con la “Summa familiae cura”?
In primo luogo si tratta di onorare la straordinaria fiducia che ci è generosamente accordata. Papa Francesco mette la sua firma su questa rifondazione dell’Istituto: e dunque si fa personalmente garante del suo munus di competenza e di servizio per tutta la Chiesa. Il Papa non si limita a conservare l’esistente, desidera aprirgli un futuro. Rilancia l’intuizione lungimirante e l’eredità preziosa della sua prima fondazione come un tesoro che deve essere custodito e un talento che deve essere trafficato. E ci affida personalmente il compito di modellare la nuova costituzione di questo centro di studi, di ricerca e di formazione, nei termini più rispondenti alle esigenze del progetto pastorale che la Chiesa post-sinodale è autorevolmente impegnata a costruire.
L’obiettivo della Chiesa è quello di attrezzarsi per abitare evangelicamente la realtà storica delle relazioni famigliari, per illuminare la sua verità e prendersi cura delle sue fatiche in termini adeguati alla condizione esistenziale in cui sono chiamati a viverle gli uomini e le donne che le sono affidati da Dio.
Corrispondere a una fiducia così grande, e applicarci seriamente a questo compito di rinnovamento, sarà per noi motivo di gioia e di dedizione senza riserve.