Prima Giornata dei poveri
Una notte a Cesena, prigionieri di una sana inquietudine, in compagnia di chi dorme dove capita
Il dato emergente, di forte impatto sui presenti, è stato il freddo. Tanto freddo. Avere trascorso tre ore all’aperto, sabato dalle 21 alle 24, in vista della I Giornata mondiale del poveri, in compagnia di diversi uomini che a Cesena dormono dove capita, ha fatto comprendere cosa significhi non avere una casa. È stata un’esperienza semplice e al tempo stesso molto intensa, proposta dall’associazione Papa Giovanni XXIII a quanti hanno avuto il desiderio di cercare di mettersi da un’altra prospettiva. Vedere il mondo dal basso è utile, educativo e istruttivo. Anzi, direi necessario. Ascoltare le storie di questi uomini che hanno attraversato prima il deserto e poi il mare per giungere da noi e poi trovarsi in mezzo a una strada fa sentire a disagio. L’inquietudine sale davanti a quegli occhi bianchi e spenti di giovani spesso umiliati, costretti a chiedere l’elemosina, quando la loro unica richiesta sarebbe quella di potersi rendere utili. Abbiamo girato tutta una sera in cerca dei loro giacigli. Luoghi non luoghi di una Cesena sconosciuta ai più. Siamo rimasti sbalorditi nell’apprendere come a due passi da noi si possa tentare di riposarsi sotto a un ponte o in una cavità nella zona dell’ex zuccherificio.
“È impossibile che questo succeda qui”, è stato il pensiero di molti. Invece la realtà ha mostrato il suo volto crudele, fatto di storie difficili, spesso drammatiche. Per una notte siamo rimasti inquieti, prigionieri di quella sana inquietudine che vivono quanti seguono la storia avviata da don Oreste Benzi: ci si deve battere per togliere le cause dell’ingiustizia, della miseria, della schiavitù. In una parola, per condividere, non per fare assistenza sociale. Non si può rimanere indifferenti davanti a certe storie, a certe situazioni. Non si può fare finta di nulla. Non si può tacere. Non basta, come ha ricordato papa Francesco domenica scorsa commentando nell’omelia la parola dei talenti, non fare il male. Anche chi non fa nulla, come colui che sotterrò il suo unico talento, rischia di essere colpevole di una società che schiaccia gli ultimi, i più deboli, i più indifesi. Allora la sera di sabato scorso, anche con coloro che sono stati al dormitorio e hanno coinvolto una decina di ospiti in una serata di canti e di allegria, si è trasformata in una festa per tanti. Le 80 persone (tra queste anche l’assessore ai servizi sociali Simona Benedetti) che si sono trovate assieme nei locali del Binario 5 in zona stazione non si sono sentite diverse. Non si è avvertito un “noi” e “voi”, ma insieme ci si è sentiti, per un po’ di ore, nella stessa condizione: bisognosi gli uni degli altri. Per una notte, tutti siamo stati mendicanti.
È rimasta la domanda, perentoria e lapidaria: con il freddo che tenderà a crescere visto l’inverno ormai alle porte, è possibile lasciare tanti uomini abbandonati al loro destino? A questa si è aggiunta la richiesta di Ion (Giovanni), un rumeno in carrozzina che vive a Cesena da tempo e ha una richiesta. Dopo avere dormito per mesi in una tenda, ora è ospitato al dormitorio dove può rimanere per un paio di settimane. Vedovo, in patria, ha la seconda moglie e sette figli. Il suo sogno è poter disporre di un camper, “per fare venire qua i miei”, dice fra le lacrime sue e quelle di chi lo ascolta. Sì, perché ogni povero sono io. O potrei esserlo. Solo se avessi avuto un’altra storia.
(*) direttore “Corriere Cesenate” (Cesena-Sarsina)