Società
Nel 51° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato oggi, 1° dicembre a Roma, emerge il profilo di una società che “ha macinato sviluppo” – e gli indicatori dell’economia stanno a dimostrarlo – ma che “nel suo complesso è impreparata al futuro”. L’immagine che, come in ogni edizione del Rapporto, sintetizza in un flash il senso dell’analisi, quest’anno è “il futuro si è incollato al presente”
Mal di futuro. È questa la sindrome che affligge la società italiana secondo il Censis.
Nel 51° Rapporto sulla situazione sociale del Paese emerge il profilo di una società che “ha macinato sviluppo” – e gli indicatori dell’economia stanno a dimostrarlo – ma che “nel suo complesso è impreparata al futuro”. L’immagine che, come in ogni edizione del Rapporto, sintetizza in un flash il senso dell’analisi, quest’anno è “il futuro si è incollato al presente”. E se manca “lo spazio che separa il presente dal futuro”, quello spazio che è “il luogo della crescita”, il prezzo che la società italiana paga “è proprio il consumo, senza sostituzione, di quella passione per il futuro che esorta, sospinge, sprona ad affrettarsi, senza volgersi indietro”. Nel presente si moltiplicano segnali importanti di vitalità, ma il Paese non riesce a fare sistema e questo gli impedisce di proiettarsi verso il futuro. La società italiana appare al Censis “sconnessa, disintermediata, a scarsa capacità di interazione, a granuli via via più fini”. Manca un “ordine sistemico”, si sono “disarticolate le giunture che uniscono le varie componenti sociali”, si è fatto “sviluppo senza espansione economica” e anche “la ripresa registrata negli ultimi mesi sembra indicare, più che l’avvio di un nuovo ciclo di sviluppo, il completamento del precedente”.
Disuguaglianze in crescita. Di questa ripresa, peraltro “non si è distribuito il dividendo sociale” e le disuguaglianze sono aumentate. Ma è soprattutto “il blocco della mobilità sociale” a generare “rancore” diffuso. “La paura del declassamento è il nuovo fantasma sociale”, sottolinea il Censis. Molto difficile migliorare la propria posizione, molto facile scivolare più in basso: coloro che la pensano così rappresentano quote elevatissime (fino a quasi il 90%) di ogni ceto sociale. Di conseguenza “l’onda di sfiducia che ha investito la politica e le istituzioni non risparmia nessuno”: l’84% non ha fiducia nei partiti, il 78% nel governo, il 76% nel Parlamento, il 70% nelle istituzioni locali. E una forte maggioranza (il 60%) è insoddisfatta per il funzionamento della stessa democrazia nel nostro Paese.
Le responsabilità della classe dirigente sono evidenti. “I gruppi sociali e i singoli individui – afferma il Rapporto – hanno bisogno di immaginare il futuro, di riconoscersi in cammino verso un miglioramento delle proprie condizioni economiche e sociali”. Invece “i decisori pubblici sono rimasti intrappolati nel brevissimo periodo”, la politica “ha mostrato il fiato corto, nell’incessante inseguimento di un quotidiano ‘mi piace’, nella personale verticalizzazione della presenza mediatica”.
Tecnologia e territorio. Secondo il Censis, l’Italia avrebbe bisogno di puntare strategicamente sul binomio tecnologia-territorio, “sulla preparazione alla tecnologia con solidi sistemi di formazione e sulla valorizzazione del territorio con adeguate funzioni di rappresentanza politica ed economica”. Eppure l’economia sta già dando segnali rilevanti. Nel primo semestre del 2017 la produzione industriale italiana è cresciuta del 2,3%, più della Germania e della Francia, e nel terzo trimestre l’incremento è del +4,1%. Le esportazioni vanno molto forte: l’Italia da sola rappresenta il 3,4% dell’export mondiale. E non è soltanto merito del made in Italy (che il Censis definisce “inarrestabile”: 99,6 miliardi di euro di saldo commerciale positivo nel 2016). Nella produzione di macchine utensili siamo al quinto posto nel mondo e addirittura al terzo (dopo Germania e Giappone) nelle relative esportazioni. Il turismo, che il Rapporto individua come il terzo pilastro della ripresa, ha raggiunto livelli record: nel 2016 gli arrivi hanno sfiorato i 117 milioni, con un aumento del 22,4% rispetto al 2008. Nel primo semestre di quest’anno gli arrivi sono cresciuti di un altro 4,8% in confronto allo stesso periodo dell’anno scorso.
“Coccole di massa”. Gli effetti cominciano a farsi sentire, sia pure molto “sottotraccia”. “Dopo gli anni del severo scrutinio dei consumi – osserva il Censis – torna il primato dello stile di vita e del benessere soggettivo, dall’estetica al tempo libero.
La somma delle piccole cose che contano genera felicità quotidiana: è un coccolarsi di massa”.
Così, paradossalmente, nell’Italia del rancore il 78,2% si dichiara molto o abbastanza soddisfatto della vita che conduce. È una soddisfazione di piccolo, piccolissimo cabotaggio, se in un immaginario collettivo che “ha perso spinta propulsiva” primeggiano i social network (32,7%) e i tatuaggi superano la casa di proprietà.
Disoccupazione e povertà assoluta. L’altra faccia della medaglia delle “coccole di massa” sono
1,6 milioni di famiglie e 4,7 milioni di persone che nel 2016 si trovavano in povertà assoluta,
con un incremento esponenziale rispetto al periodo pre-crisi: +96,7% e +165%. La causa principale è la disoccupazione: tra le persone in cerca di lavoro è in povertà assoluta il 23,2%. I gruppi maggiormente colpiti sono i minori e le famiglie con tre o più figli, ma il Censis evidenzia anche “un altro trend il cui potenziale sviluppo può avere gravi implicazioni nel futuro: l’etnicizzazione della povertà assoluta”, il suo espandersi accelerato tra le famiglie straniere. Ma proprio gli immigrati sono stati finora l’unico “antidoto allo spopolamento”, a quello che il Rapporto definisce il “rimpicciolimento” di un Paese che si scopre sempre più vecchio (gli over 64 sono il 22,3% della popolazione).