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La crisi è evidente, ma servono sinergie, umiltà e laboriosità per “risalire la china”. L’impegno culturale per combattere le fake news e la necessaria riforma dell’Ordine
“Non posso risolvere con la bacchetta magica la difficile situazione in cui versa il giornalismo, ma spero, con l’aiuto del Signore, di poter fare qualcosa per risalire la china”. Inizia con questo auspicio la chiacchierata con Carlo Verna, nuovo presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti: 59 anni, napoletano, in questo dicembre festeggia i 40 anni di iscrizione all’Ordine, 10 da pubblicista e 30 da professionista. È congregato mariano della Comunità di vita cristiana che a Napoli ha il suo centro nella chiesa del Gesù Nuovo. “Padre Rolando Palazzeschi, 93 anni, che è stato assistente della Cvx fino a poco tempo fa e mio padre spirituale, mi dice di dedicare ogni giorno cinque minuti al Vangelo per cogliere i segni dei tempi e i suggerimenti per trovare le risposte a ciò che cerco”, ci racconta.
Presidente, il giornalismo in Italia sta affrontando un momento di profonda crisi. L’ultimo rapporto Censis/Ucsi ha evidenziato che solo il 35,8% degli italiani legge i giornali…
Dobbiamo trovare tutti insieme una ricetta, coordinandoci con gli altri enti di categoria.
Se analizziamo i dati dell’Inpgi e confrontiamo i dati degli iscritti all’Albo e i giornalisti effettivamente attivi, constatiamo che c’è una discrepanza che rischia di generare speranze che si tradurranno poi in drammatiche illusioni. Non possiamo più permetterci questo. Viviamo in una transizione che va gestita. Per l’ordinamento della professione giornalistica abbiamo ancora la legge n. 69 del 1963 che fotografa una realtà diversa, quando c’erano solo il servizio pubblico radiotelevisivo della Rai, l’Ansa come unica agenzia di stampa e i grandi quotidiani. Oggi, invece, l’offerta è polverizzata, le piattaforme sono svariate, ciascuna apportatrice di varie possibilità di emissione, c’è la concorrenza con il giornalismo occasionale che rischia di introdurre elementi di fake news e, nello stesso tempo, soddisfa, erroneamente per alcuni, un bisogno di informazione. Così finisce per ridursi proprio la platea che fruisce di giornalismo professionale. Da questo punto di vista, dobbiamo trovare una ricetta, ma non spetta solo all’Ordine dei giornalisti, a cui tocca trovare immediatamente una risposta per l’accesso alla professione: io penso che dovrà esserci un canale unico di accesso attraverso la formazione.
La crescita dei social in cui tanti si improvvisano giornalisti quanto incide sulla crisi?
Molto. Per questo credo che noi,come Ordine dei giornalisti, dovremo svolgere anche una funzione di agenzia culturale per far capire alla gente l’impetuosa trasformazione del mondo della comunicazione di cui l’informazione è una specie pregiata. Senza impedire naturalmente la libera espressione del pensiero garantita dall’articolo 21 della Costituzione, occorre aiutare a distinguere il giornalismo professionale dal giornalismo occasionale, avvertendo le persone su come maneggiare le informazioni che circolano. Se non riusciremo a portare avanti un’operazione del genere, non faremo un buon servizio alla comunità. Io mi dovrei occupare solo del mio mare, quello degli iscritti, ma io penso che il mare della comunicazione è così ampio e in esso noi abbiamo un interesse qualificato, cioè dobbiamo impedire che sia inquinato e che in esso ci siano pirati a infestarlo. Questo è un interesse che noi abbiamo, al di là di chi è iscritto e di chi non lo è. Cercheremo, perciò, di mettere in atto tutte le iniziative possibili anche collegandoci con altre autorità, penso all’Agcom, per far sì che le cose cambino. Sono consapevole che il compito è complicatissimo. Oltretutto, una riforma non può essere fatta da noi, ma solo proposta da noi al Parlamento, che sarà operativo più avanti, visto il suo prossimo rinnovo.
Come si combattono le fake news?
Come Ordine possiamo combattere i giornalisti professionali che diffondono fake news, per il resto si può promuovere un programma di sensibilizzazione e svolgere una funzione di educazione. Spero di poter prendere contatti anche con il ministero della Pubblica Istruzione per creare una convenzione per far sì che i giornalisti vadano nelle scuole a spiegare queste cose.
Per non cascare nelle fake news si deve essere messi in guardia dal pericolo.
Io posso impedire che questo pericolo arrivi da chi è iscritto all’Ordine dei giornalisti, ma non da ciò che attiene ai blog, ai social, alla libera espressione, che spesso è ai confini con il dare informazione. Pensiamo, ad esempio, al fotografo: oggi è sfavorito dal fatto che se succede una tragedia arriva sul luogo dopo che fotografie ben più efficaci sono state scattate da chi si trova già in quel posto nel momento giusto.
La disaffezione dei lettori rientra in questa crisi generalizzata?
Più che di disaffezione dei lettori, parlerei di bombardamento di informazioni che arrivano da tutte le parti. Anche se non vuoi conoscere una notizia, comunque oggi ti raggiunge. Questo determina un soddisfacimento a monte di un certo tipo di bisogno. Ed è un cane che si morde la coda: diminuiscono le persone che comprano i giornali, quindi gli editori fanno tagli, i giornali sono fatti sempre peggio, perché ci sono meno redattori che possono dedicarsi all’approfondimento e all’analisi, e la gente li compra sempre meno. Dobbiamo rompere questo circolo vizioso.
Quanto è importante la voce dei giornali locali, come quella dei settimanali cattolici?
Moltissimo. Io stesso, come congregato mariano, ho collaborato con il settimanale diocesano di Napoli, “Nuova Stagione”. E tuttora lavoro per una testata giornalistica regionale, la Tgr Campania, quindi ho sempre conosciuto e apprezzato la potenzialità dell’informazione locale. Con uno slogan noi diciamo “glocal” perché non dobbiamo disinteressarci delle cose globali, ma l’informazione locale è quella che arriva alla gente. Anzi,
saper fare bene l’informazione locale significa saper svolgere bene la funzione civile propria del giornalismo.
La crisi dei giornali locali è come per quelli nazionali, basti pensare a tutti i siti che ci sono anche a livello locale con informazioni di tutti i tipi. Ma questa non è una dinamica solo italiana, è un fenomeno internazionale.
Qual è il futuro del giornalismo in Italia?
Nel futuro siamo già. Credo che ci siano degli elementi di sinergia indispensabili. Ci deve essere un’organizzazione che va a concatenare il giornale con l’offerta multimediale. Spero che la carta stampata non scompaia mai perché è un elemento di riflessione, credo anche che l’informazione troppo veloce finisca con l’essere non sempre corretta. Una riflessione su questi temi ci aiuterà a trovare le risposte che il giornalismo deve dare. Poi, anche se è cambiata la modalità di offerta,
occorre recuperare il concetto morale, filosofico e democratico del giornalismo
che è sempre lo stesso, qualunque forma il giornalismo assuma. Credo che, se ognuno con umiltà e laboriosità fa il suo dovere, si fa un passo avanti nel segno di un miglioramento del bene comune. Io spero di essere un produttore di bene comune. Questo lo devo alla categoria e anche seguendo il solco del Vangelo che ci invita ad amare il prossimo.