Fondazione Migrantes
È stato presentato oggi all’Istituto comprensivo “Gramsci” di Roma il volume della Fondazione Migrantes “Il racconto degli italiani nel mondo – Rim junior 2017”: un viaggio con dati e narrazioni adatte a bambini e ragazzi, a partire dal cibo, dalle tradizioni e dai mestieri degli italiani nel mondo, per una scuola sempre più interculturale.
Quando la storia delle migrazioni italiane viene raccontata (bene) ai ragazzi delle scuole, l’integrazione tra culture e l’apertura all’altro diventa più facile e quasi naturale. Perché ricordare il passato – ossia quando a migrare eravamo noi – aiuta a vivere e comprendere meglio il presente. È quanto avvenuto, con successo, nell’istituto comprensivo “Antonio Gramsci” di Roma, primarie e medie a pochi passi dal quartiere Trullo, una delle borgate storiche sorte nel ventennio, di recente alla ribalta delle cronache per un episodio di intolleranza durante l’assegnazione delle case popolari. Stavolta, invece, gli studenti hanno espresso estro, creatività e curiosità realizzando performance artistiche, studi e ricerche a partire dagli stimoli indotti dalla lettura del volume voluto dalla Fondazione Migrantes “Il racconto degli italiani nel mondo – Rim junior 2017”, presentato oggi nella scuola romana. Un viaggio con dati, storie e spiegazioni con narrazioni adatte a bambini e ragazzi, a partire dai cibi italiani, dalle tradizioni e dai mestieri che hanno conquistato il mondo. Per vivere meglio in una scuola sempre più interculturale. Con l’auspicio che il volume possa essere adottato anche come libro di testo.
Il racconto degli studenti. Così gli studenti del “Gramsci” – il 40% sono stranieri – hanno scoperto che gli italiani residenti all’estero sono 4.811.163 e che 107.529 sono partiti nel 2015. Si parte in maggioranza dalla Sicilia, dalla Campania, dal Lazio e dalla Lombardia. Verso tutti i continenti, ma il numero più alto di italofoni è in America Latina (1.564.895), soprattutto in Argentina (783.353). Sono le vicende della pizza, della pasta, del caffè, del gelato, a catturare maggiormente l’attenzione degli alunni, con testi e aneddoti scritti da Daniela Maniscalco (che insegna italiano ai ragazzi italofoni in Lussemburgo) e belle illustrazioni di Carmela D’Errico. Dopo la lettura del volume alcune classi hanno realizzato corti, mettendo in scena in maniera allegorica la migrazione degli italiani. Altri hanno disegnato cartelloni con alberi di polpette e salici piangenti di spaghetti.
“Bisogna essere curiosi per diventare migliori”, scandiscono i ragazzi. “Accogliere e valorizzare le diversità ci fa diventare cittadini del mondo”. Oppure: “È molto ingiusto giudicare le ragioni altrui con troppo orgoglio”.
Il racconto dei migranti. L’istituto “Gramsci” comprende anche un Cpia, ossia un Centro di istruzione per adulti, dove studiano e apprendono l’italiano dai 16 anni in su. Ovviamente moltissimi sono stranieri. Arrivati in Italia con viaggi duri e spericolati come quello di Yasin, andato via dal Marocco a 13 anni: “Volevo dare una mano alla famiglia – racconta oggi – e
anche se i miei genitori non erano d’accordo sono andato lo stesso al porto di Tangeri e mi sono nascosto in un Tir. Sono arrivato in Italia dopo 8 giorni di viaggio.
Ero solo e senza documenti, non sapevo una parola d’italiano. Per fortuna alla stazione Termini un signore marocchino mi ha aiutato, consigliandomi di andare alla polizia. Così nell’estate del 2009 sono entrato in una comunità di accoglienza, alla Città dei ragazzi di Roma”. Ora Yasin ha 21 anni, parla bene italiano, vive con altri due amici e lavora come pizzaiolo. “È stato molto difficile ma sono contento della scelta fatta”. Mardochee invece non ha avuto scelte: lui è un richiedente asilo dalla Repubblica Democratica del Congo, ha 29 anni ed è in Italia da 1 anno e 5 mesi. È dovuto fuggire perché era tra i manifestanti durante una feroce repressione delle proteste popolari. In Congo andava all’università e faceva pugilato. A Roma sta frequentando la terza media e un corso per diventare agente di sicurezza. “Mi piace tanto la cucina italiana ma qui fa tanto freddo – dice -. Non avevo mai indossato insieme tre giacche, sciarpa e guanti. E poi d’estate parlano di ‘caldo africano’. Ma da noi non è mai così caldo”.
La scuola è il luogo privilegiato dell’integrazione. “Oggi ci troviamo di fronte al fenomeno della globalità dei movimenti che non è momentaneo ma epocale”, afferma monsignor Guerino Di Tora, presidente della Fondazione Migrantes e vescovo ausiliario di Roma. “Siamo solo all’inizio, ne avremo almeno per altri 25/30 anni”. Secondo mons. Di Tora per “contrastare la rinascita del nazionalismo in Europa e America bisogna puntare sulle giovani generazioni. La scuola è il luogo reale dove avviene l’integrazione”. Mons. Paolo Felicolo, direttore di Migrantes Roma, ricorda che “integrare significa camminare insieme”: “La paura è una brutta malattia che si può curare attraverso l’incontro e la riscoperta dell’importanza delle migrazioni per il nostro Paese”. Il dirigente scolastico Bruno Aletta sottolinea invece che “la didattica dell’integrazione non fa rima con accomodamento e basso profilo ma con innovazione e ricerca”. Vinicio Ingini, del ministero dell’Istruzione, promette che
l’esperienza fatta in questa scuola “sarà valorizzata e ripetuta anche in altri istituti”.