Formazione
Animazione, formazione e buone pratiche a favore dei giovani nel campo lavorativo. Sono questi gli elementi del Progetto Policoro, nato oltre 20 anni fa dall’intuizione di mons. Mario Operti, l’allora direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro della Cei. Dello sviluppo avuto e delle sfide che il Progetto si trova ora ad affrontare ne abbiamo parlato con don Bruno Bignami
“Noi dei giovani ne parliamo sempre al futuro, ma sappiamo che ci stiamo raccontando una menzogna”. Ne è convinto don Bruno Bignami, vice direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei con delega al Progetto Policoro. Lo è ancor di più dopo l’esperienza vissuta alcuni giorni fa ad Assisi con centinaia di giovani in occasione del 34° corso di formazione nazionale degli animatori di comunità protagonisti del Progetto. “Sono rimasto molto colpito dall’entusiasmo con cui molti giovani si impegnano in un ambito dal quale molti fuggono, che è quello del sociale, dell’impegno politico e nel mondo”, rivela don Bignami, secondo cui “la narrazione migliore è quella di raccontare un presente che loro vivono, che loro già sono e che rappresenta una straordinaria ricchezza per la Chiesa di oggi”.
Che esperienza è stata quella di Assisi? Cosa ha messo in luce?
Hanno partecipato più di 250 giovani provenienti da un po’ tutte le diocesi coinvolte nel Progetto Policoro. Quest’anno abbiamo raggiunto il record di 143 diocesi aderenti. Con questi giovani abbiamo vissuto giorni dedicati alla formazione, con un’impostazione vocazionale: non tanto quella individuale quanto rispetto ad una chiamata ad essere significativi dentro l’esperienza della vita con uno stile di servizio e impegno. In fondo
il lavoro è un’esperienza in cui uno si mette al servizio del bene comune, impegna se stesso e mette in gioco i propri talenti.
Nel corso dei lavori si sono riprese alcune tematiche al centro della Settimana sociale dei cattolici italiani…
Legandoci alla 48ª Settimana sociale di Cagliari abbiamo sviluppato il tema dei “Cercatori di LavOro”. Mettendo in gioco i talenti dei giovani abbiamo cercato di mostrar loro quali sono oggi le “buone pratiche” lavorative spiegando anche come loro possono farle conoscere e come possono mettersi al servizio di questo Progetto facendo anche riferimento a quelli che in Policoro vengono chiamati “gesti concreti”, cioè le iniziative pratiche che nascono a partire dalle persone che hanno condiviso e condividono il Progetto.
Nato nel 1995 come risposta al fatto che “la disoccupazione giovanile interpella le nostre Chiese”, il Progetto Policoro ha affrontato diversi passaggi legati alle problematiche sociali e lavorative del Paese. Quale il tratto caratteristico?
Policoro ha investito moltissimo sul piano formativo, punto cardine del Progetto. Mi pare che anche l’esperienza dei giorni di Assisi lo ha confermato.
Oggi c’è bisogno di lavorare perché ai giovani si diano occasioni di confronto, di studio, di ricerca, di lavoro su di sé, sulla capacità di relazioni, di vivere in comunità.
Questi temi sono il fiore all’occhiello del Progetto Policoro e da ciò nasce la capacità “generativa” per creare qualcosa di nuovo nei territori. Dal mettersi in ascolto delle esigenze e delle situazioni nasce anche l’impegno, un servizio concreto e quotidiano.
Insomma, una scommessa ma anche un patrimonio prezioso…
Penso che oggi, in Italia, con la crisi anche politica e sociale che stiamo vivendo,
forse Policoro è l’unico Progetto che cerca di mettere insieme dei giovani e di formarli non ad una visione partitica o ideologica della vita ma dentro una visione profondamente radicata nei valori del Vangelo e contemporaneamente al servizio del bene comune.
Questa è una straordinaria ricchezza per la Chiesa italiana.
Come descriverebbe questi 22 anni di Policoro?
Potrei usare l’immagine dell’albero. I primi anni sono stati dedicati ad innaffiare e curare questo albero che stava crescendo. Ci si è spesi molto per questo e ci si è concentrati molto sull’organizzazione, sulla struttura che fa leva sulle pastorali caritativa, sociale e giovanile che insieme, all’interno di una diocesi, alimentano e strutturano il Progetto. Negli ultimi anni ci si è accorti che questa realtà di Policoro aveva rami che, sempre di più, davano frutto. Questo ha comportato anche il compito di discernere, valutare, cercare di lavorare soprattutto sui “gesti concreti” che sono nati.
Quale la sfida attuale per il Progetto?
Rendere più profondamente radicato nel tessuto italiano la ricchezza formativa di Policoro.
In che modo?
La Conferenza Episcopale italiana si è impegnata nel fare un esame di quanto fatto e nel rilancio del Progetto. In questo senso, dovremo metterci in ascolto e capire quello che i vescovi vogliono offrire. Nel momento in cui stiamo entrando nel ventitreesimo anno di Policoro, un aspetto su cui riflettere è il fatto che era nato al Sud, si è radicato un po’ in tutta Italia ma al Nord fa ancora molta fatica. Per esempio, la Lombardia è l’unica regione in cui non esiste ancora questa esperienza. Si tratterà di studiare il modo con cui promuovere la formazione – che non è legata a questioni territoriali ma alla vita cristiana e all’impegno nel mondo – attraverso un modello che può essere condiviso da tutto il Paese e da tutta la Chiesa italiana.
Un secondo elemento riguarda il come continuare e far fiorire ulteriormente il rapporto con le associazioni che collaborano nel Progetto. Capendo quale contributo le “filiere” vogliono e possono offrire in futuro al Progetto.
Come fare perché Policoro venga conosciuto sempre più?
C’è bisogno di narrare il bene che si è costruito e, anche silenziosamente, continua ad essere promosso in Italia tramite il Progetto Policoro. Varrebbe la pena ci fossero maggiori scambi Nord-Sud, con occasioni di incontro magari nel periodo estivo. Certamente c’è bisogno di una narrazione più specifica e attenta: questo potrebbe essere oggetto di un impegno della Chiesa italiana, nell’immediato futuro almeno.
Se dovesse sintetizzare in una parola il connubio giovani e Policoro quale sceglierebbe?
Sceglierei la parola “presente”.
I giovani sono e devono essere il presente. E in Policoro i giovani sono il presente.
Lo dico a coloro che finora hanno ignorato o non hanno conosciuto il Progetto, che offre delle straordinarie opportunità al proprio interno. I giovani in Policoro crescono insieme in un modello relazionale che li valorizza e grazie al quale si sentono protagonisti del nostro presente. In un’Italia che tutti molto spesso narriamo come Paese in crisi, dobbiamo anche raccontarci il presente e le cose belle che ci sono.