Fine vita

Legge sulle Dat, la direzione sbagliata

Prevalgono amarezza e preoccupazione per quel diritto alla morte che la nuova normativa sembra introdurre nel nostro ordinamento.

I sostenitori esultano. Parlano di “pagina di civiltà” o di “passo in avanti per la dignità della persona”, lanciano gli “yes, we can” (“sì, possiamo”… sottinteso “morire”) evocando Obama. Fino a Marco Cappato che, con chiarezza, annuncia: “Prossima tappa: #eutanasialegale per essere #liberifinoallafine”. Ma, dopo l’approvazione definitiva della legge sulle Dat (“Disposizioni anticipate di trattamento”) o sul biotestamento che dir si voglia, c’è poco da esultare.
Prevalgono invece amarezza e preoccupazione per quel diritto alla morte che la nuova normativa sembra introdurre nel nostro ordinamento.
Diritto a morire e lasciarsi morire, a farsi lasciar morire, anche se il medico non fosse d’accordo, anche se potrebbe e vorrebbe intervenire garantendo fino all’ultimo la sua professionalità e competenza in nome di un codice deontologico che questa legge calpesta. Perché è questo che di fatto sancisce il provvedimento varato dal Senato in via definitiva a fine legislatura e a fini elettorali, senza nessuna modifica rispetto al testo licenziato dalla Camera, nonostante le decine di pareri forniti nei mesi scorsi da esperti e associazioni per sciogliere alcuni nodi irrisolti. Sancisce ad esempio che idratazione e nutrizione sono considerate “trattamenti sanitari” e quindi possono essere sospesi grazie a quel principio di autodeterminazione del paziente che è il vero elemento cardine della legge. Segno dell’ossequio del Parlamento alla deriva individualista che dilaga nel Paese e che questo provvedimento non potrà che alimentare. La negazione dell’alleanza medico–paziente apre le porte all’eutanasia omissiva e del resto, come abbiamo visto, i sostenitori della legge – che hanno avuto un grande sostegno a livello mediatico – non fanno mistero dei prossimi passi che vorrebbero mettere in atto.
Facilitare sempre più il “diritto a morire”, in contrasto con la Costituzione. Mentre ciò che davvero conta, come ha ricordato il Papa qualche settimana fa, è l’”imperativo categorico di non abbandonare mai il malato”. Nel sostegno soprattutto alle fragilità estreme, dove la soluzione non è nello “staccare la spina”, nel banalizzare la vita e la morte, ma nella vicinanza autentica e nella cura adeguata – pur senza sconfinare nell’accanimento terapeutico –, nell’umanizzare la condizione del malato e del morente. C’è molto da fare in questo ambito, sul terreno sanitario, sociale, culturale, educativo. Ma la legge sulle Dat va nella direzione sbagliata.

(*) romasette.it (Roma)