Anno nuovo

Vietato lamentarsi

Non c’è anno che non inizi con una lista di buoni propositi. Che non mirano tanto a stringere un buco della cintura, ma a portarci un gradino più su. Più su del noi dell’anno scorso. In sintesi: che ci facciano crescere. Migliorare si può. Anzi, si deve. Essere persone in costante tensione migliorativa è uno stile da perseguire. Non per smania di successo, qui non ci sono podi né riflettori. Ma perché ciascuno merita un percorso di vita che porti passo dopo passo ad essere migliori. Per noi e per gli altri.

Non c’è anno che non inizi con una lista di buoni propositi. Sinceri e fragili a tal punto che, mentre il pensiero elenca le cose da intraprendere e le rinunce da mettere in pratica, la mano, inconsapevolmente e forse solo per darsene la forza, già scarta il torroncino sopravvissuto alle feste, sperso nella cesta semivuota come un naufrago in mezzo al mare. Certo, detta così, la questione è resa palese ma risibile. Invece è seria.

Non si tratta di dieta e palestra. Un nuovo anno che inizia è occasione di propositi ben più impegnativi. Che non mirano tanto a stringere un buco della cintura, ma a portarci un gradino più su. Più su del noi dell’anno scorso. In sintesi: che ci facciano crescere. Che ci rendano capaci, un po’ come le bisce con la pelle, di lasciarci alle spalle vecchie e sbagliate abitudini.

Migliorare si può. Anzi, si deve. Essere persone in costante tensione migliorativa è uno stile da perseguire. Non per smania di successo, qui non ci sono podi né riflettori. Ma perché ciascuno merita un percorso di vita che porti passo dopo passo ad essere migliori. Per noi e per gli altri. Cosicché, il tempo che ci è dato di vivere non sia lo strappo del foglietto del giorno, come in certi calendari, ma un’ascesa morale e spirituale.

È un proposito scelto anche da una persona a cui il mondo guarda, Papa Francesco, che ha appeso alla porta del suo studio il cartello “Vietato lamentarsi”. Quasi una mission impossible.

Se lo slogan suona facile, il monito è invece alto: affrontare in modo attivo e non passivo, da protagonisti e non da vittime, quella porzione di mondo che ci capita di attraversare vivendo.

Affrontarlo da vittime – come spiega Salvo Noè autore del volume “Vietato lamentarsi” sposato da Francesco – è la via comoda. La scorciatoia. Quella di chi, di fronte a qualsiasi situazione, dà fiato a quattro commenti e nulla altro fa. Col tempo, col governo, col comune, con i vicini: ne siamo tutti campioni. Ma lamentarsi non serve concretamente a niente.

Chi si lamenta crede di fare qualcosa, ma se la cava a buon mercato con un paio di frasi e riprende la sua vita senza scomodarla. Chi si lamenta non solo non fa nulla per migliorare il mondo circostante ma anzi, col suo dire e ridire, contribuisce a far crescere il clima di negatività e di malumori. E il malessere, come la calunnia nella famosa aria del Barbiere di Siviglia, da “venticello e auretta assai gentile” cresce fino a farsi “colpo di cannone”.

Lamentarsi accresce la sfiducia generale e la rassegnazione: a noi e al mondo bene non fa. Con tre rimbrotti quotidiani non diventiamo persone migliori. Lamentarsi non conviene a nessuno. A partire da noi per primi.

“Vietato lamentarsi” è però un motto esigente. Ci ricorda di chiudere la bocca e iniziare a muovere prima le meningi, poi mani e piedi. Ci inchioda alla nostra attiva responsabilità. Ognuno ne ha una porzione.

Cosa fare? Per esempio, sostituire ai nostri “Non ci sto” o “Così non mi va”, “Sono i soliti a decidere”… con i più attivi e interattivi: “Perché non proviamo a…”, “Ho pensato che potremmo fare così…”, “Potrei venire anch’io…?”.

Scegliamo allora di appendere alla nostra mente lo stesso cartello di Francesco. Facciamone il motto per il 2018: “Vietato lamentarsi”. Sottotitolo: “Agire”. Perché, sostiene Salvo Noè, è la pratica che ci migliora. Mentre le lamentele sono come la sedia a dondolo: tengono impegnati, ma non portano da nessuna parte.

(*) direttrice “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)