Tempo di Natale
Gesù, nascendo in mezzo agli uomini, è venuto a “dare a tutti il documento di cittadinanza”. Così, nel “presepe” di Papa Francesco evocato in questo tempo di Natale, trovano posto i migranti – come Maria, Giuseppe e Gesù – i bambini, i genitori, le famiglie e un “visitatore indiscreto” che sale sui nostri autobus.
Dietro i passi di Maria, Giuseppe e Gesù si nascondono ancora oggi i passi di migliaia di persone di ogni continente, colore della pelle e latitudine, costretti come loro a lasciare la propria casa, la propria terra, la propria gente. Il tempo di Natale di Francesco, nella Notte Santa, comincia e si conclude con l’immagine dei migranti, a favore dei quali durante l’Angelus del 1° gennaio lancia un ennesimo appello per un futuro di pace, nella Giornata mondiale di preghiera dedicata a questo tema. In attesa dell’Epifania, come in un presepio davanti al quale sostare in silenzio, riassaporiamo i protagonisti degli interventi pubblici del Papa: i bambini, i genitori, le famiglie e un “visitatore indiscreto” che sale sui nostri autobus, frequentati – fortunatamente e contro ogni apparenza – da molti “artigiani del bene comune”.
I migranti. “A Betlemme si è creata una piccola apertura per quelli che hanno perso la terra, la patria, i sogni”, dice Francesco tracciando nella Messa del 24 dicembre un parallelo con l’attualità: nei passi di Giuseppe e Maria,
“vediamo le orme di intere famiglie che oggi si vedono obbligate a partire. In molti casi questa partenza è carica di speranza, carica di futuro; in molti altri, questa partenza ha un nome solo: sopravvivenza”.
Parole, queste, che si fanno ferma denuncia nel primo Angelus del 2018, in cui il Papa chiede a istituzioni civili, realtà educative, assistenziali ed ecclesiali, di farsi voce “di questi nostri fratelli e sorelle che invocano per il loro futuro un orizzonte di pace”. Nella messa di Natale, Francesco aveva ricordato che
Gesù è venuto “a dare a tutti noi il documento di cittadinanza”.
I pastori. Dopo Maria e Giuseppe, sono i pastori i primi a cui Gesù si è rivelato. Il Papa lo sottolinea nella Messa del 24 dicembre e nel Messaggio Urbi et orbi del giorno dopo. Coloro che per primi si avvicinano alla grotta sono uomini e donne costretti a vivere “ai margini della società”, che diventano invece un “esempio per i credenti di ogni tempo”.
Il visitatore indiscreto. “La fede di questa notte ci porta a riconoscere Dio presente in tutte le situazioni in cui lo crediamo assente”, è la sintesi del messaggio del Natale, nella Messa della Notte Santa:
“Egli sta nel visitatore indiscreto, tante volte irriconoscibile, che cammina per le nostre città, nei nostri quartieri, viaggiando sui nostri autobus, bussando alle nostre porte”.
Ci vuole “una nuova immaginazione sociale” , per saper accogliere chi in questa terra non ha un posto.
La tenerezza, non la paura. Al termine dell’omelia, il Papa fa risuonare in basilica lo stesso grido di san Giovanni Paolo II, per la messa d’inizio pontificato: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo”:
“Il tuo pianto ci svegli dalla nostra indifferenza, apra i nostri occhi davanti a chi soffre. La tua tenerezza risvegli la nostra sensibilità e ci faccia sentire invitati a riconoscerti in tutti coloro che arrivano nelle nostre città, nelle nostre storie, nelle nostre vite”.
I bambini. Il “cuore” del Messaggio “Urbi et orbi” è l’elenco dei bambini il cui futuro può essere compromesso dalla guerra, in Corea come in Venezuela o in Ucraina. Gesù è nei bambini i cui genitori non hanno un lavoro e faticano a offrire ai figli un avvenire sicuro e sereno; nei bambini soldato o in quelli schiavizzati da mercenari senza scrupoli; nei piccoli costretti a lasciare i loro Paesi viaggiando da soli in condizioni disumane o finendo vittime dei trafficanti: “Il nostro cuore non sia chiuso come lo furono le case di Betlemme”, l’invito a umanizzare il mondo.
I genitori. I genitori “sono i custodi” della vita dei propri figli, “non i proprietari”, il monito dell’ultimo Angelus del 2017. Non c’è famiglia, anche ferita, che non possa rinascere, assicura il Papa.
La gratitudine. Maria è stata la prima ad aver sperimentato, mettendo al mondo suo figlio, quell’atteggiamento di “gratitudine struggente” che “non viene dall’io, ma da Dio, e coinvolge l’io e il noi”. È il tema dell’omelia pronunciata per il tradizionale “Te Deum” di fine d’anno.
Le guerre e le offese alla vita. “Anche questo tempo dell’anno 2017, che Dio ci aveva donato integro e sano – denuncia il Papa – noi umani l’abbiamo in tanti modi sciupato e ferito con opere di morte, con menzogne e ingiustizie”. Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità non solo di fronte alle guerre, ma anche
“a tutte le piccole e grandi offese alla vita, alla verità, alla fraternità, che causano molteplici forme di degrado umano, sociale e ambientale”.
Gli artigiani del bene comune. Il vescovo di Roma, infine, esprime gratitudine per tutti gli “artigiani del bene comune” che amano la loro città non a parole ma con i fatti: “Anche se non fanno notizia, sono la maggior parte della gente che vive a Roma”.
“Servire la vita umana è servire Dio e ogni vita, da quella nel grembo della madre a quella anziana, sofferente e malata, a quella scomoda e persino ripugnante, va accolta, amata e aiutata”, l’appello.
Il silenzio. “Ritagliare ogni giorno un momento di silenzio con Dio è custodire la nostra libertà dalle banalità corrosive del consumo e dagli stordimenti della pubblicità, dal dilagare di parole vuote e dalle onde travolgenti delle chiacchiere e del clamore”. Nella parte centrale dell’omelia della prima Messa del 2018, Francesco consiglia di rimanere in silenzio guardando il presepe:
“Per andare avanti, ci dice la festa di oggi, occorre tornare indietro: ricominciare dal presepe, dalla Madre che tiene in braccio Dio”.
Solo così possiamo lasciare tante zavorre inutili e a ritrovare ciò che conta. “Il dono della Madre,
il dono di ogni madre e di ogni donna è tanto prezioso per la Chiesa,
che è madre e donna”, sottolinea il Papa. È Maria, chiosa Francesco, la firma d’autore di Dio sull’umanità.