Al Corpo diplomatico
Dedicato alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, a 70 anni dalla sua adozione, il discorso del Papa al Corpo diplomatico. “Integrare” la parola d’ordine per affrontare la questione dei migranti, di cui l’Europa deve essere fiera, dice Francesco insieme al “grazie” per l’impegno dell’Italia
Il quinto discorso del Papa al Corpo diplomatico, durato quasi un’ora e lungamente applaudito, è cominciato con una citazione del presidente americano Wilson, sul “clima di parità” tra le nazioni necessario per scongiurare qualsiasi conflitto – a cent’anni dalla fine della Grande Guerra – e si è concluso con un appello all’Europa affinché si renda protagonista del processo di pace urgente e necessario, nello scenario attuale della “terza guerra mondiale a pezzi”. Al cuore delle parole di Francesco – come negli analoghi discorsi degli anni precedenti – la questione dei migranti, di cui il nostro continente deve essere fiero, ha detto ringraziando in particolare l’Italia ed esortando ad andare oltre la “diffusa retorica” meditando più a fondo uno dei quattro verbi dell’ultimo messaggio per la Giornata mondiale della pace: integrare.
A settant’anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, l’invito finale è all’insegna della lungimiranza: la stessa dei costruttori delle cattedrali medievali disseminate nel nostro Continente. Sapevano che non avrebbero visto i frutti del loro lavoro, ma hanno lavorato comunque al loro progetto per consegnarlo ai loro figli, e ai figli dei loro figli, affinché lo arricchissero a loro volta con il proprio contributo.
Multilateralismo. Dalla fine della Grande Guerra, esattamente un secolo fa, esordisce il Papa, si possono ricavare due moniti: il primo è che “vincere non significa mai umiliare l’avversario sconfitto”, il secondo è che “la pace si consolida quando le nazioni possono confrontarsi in un clima di parità”, come ha intuito proprio cent’anni fa il presidente statunitense Wilson.
I diritti violati. Dal Sessantotto in poi, si sono moltiplicati i “nuovi diritti”, non di rado in contrapposizione tra loro. Il rischio, per Francesco, è che “si vengano ad instaurare moderne forme di colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli”. A 70 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, molti diritti fondamentali sono ancora oggi violati, come quelli dei bambini, degli anziani, delle donne, delle famiglie in fuga dalle guerre o vittime della tratta. Da tutelare, inoltre, il diritto alla salute, garantendo a tutti l’accesso alle cure e ai trattamenti sanitari.
La “logica aberrante della guerra”, oggi, sembra prevalere sull’azione umanitaria delle organizzazioni internazionali. Il disarmo integrale e il negoziato, per la Santa Sede, restano le vie da percorrere per raggiungere la pace. Il Papa cita la Pacem in terris, per sottolineare la gravità del momento presente:
“Non è escluso che un fatto imprevedibile e incontrollabile possa far scoccare la scintilla che metta in moto l’apparato bellico”. Il fronte più caldo, per Francesco, è la penisola coreana.
Medio Oriente. Francesco dedica “un pensiero particolare” a israeliani e palestinesi, rinnovando l’appello a rispettare lo “status quo” di Gerusalemme e a consentire “la presenza nella Regione di due Stati indipendenti entro confini internazionalmente riconosciuti”. Anche il “caro Venezuela” ha bisogno di soluzioni pacifiche per guardare con rinnovata serenità al futuro.
La famiglia, in Occidente, è ritenuta un “istituto superato”, le si preferiscono “legami fugaci”, ma è dalle politiche di reale sostegno alla famiglia che bisogna ripartire per rifondare la società e superare l’“inverno demografico” in cui è piombata. Senza dimenticare il dramma di “famiglie spezzate a causa della povertà, delle guerre e delle migrazioni”.
Accogliere. E proprio in materia di migrazioni, l’invito è a
“uscire da una diffusa retorica e partire dalla considerazione essenziale che davanti a noi ci sono innanzitutto persone”.
Oggi si parla molto di migranti e migrazioni per suscitare paure ancestrali, ma le migrazioni sono sempre esistite. “La maggior parte dei migranti preferirebbe stare nella propria terra – l’analisi del Papa – mentre si trova costretta a lasciarla a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale”. Accogliere esercitando la virtù della prudenza, suggerisce Francesco ringraziando in particolare l’Italia ed esortando l’Europa ad essere fiera dei migranti, il cui arrivo “deve spronarla a riscoprire il proprio patrimonio culturale e religioso”.
Integrare. “Chi accoglie è chiamato a promuovere lo sviluppo umano integrale, mentre a chi è accolto si chiede l’indispensabile conformazione alle norme del Paese che lo ospita, nonché il rispetto dei principi identitari dello stesso”. Nel ribadirlo, il Papa rimanda al quarto verbo del messaggio per la Giornata mondiale della pace: integrare.
“L’integrazione è un processo bidirezionale, con diritti e doveri reciproci.
Nell’attuale contesto internazionale non mancano le possibilità e i mezzi per assicurare ad ogni uomo e ogni donna che vive sulla Terra condizioni di vita degne della persona umana”.
Lavorare. Il discorso al Corpo diplomatico si conclude con un forte appello per il lavoro, che in molte parti del mondo manca o è scarsamente disponibile, soprattutto per i giovani. “Spesso è facile perderlo non solo a causa delle conseguenze dell’alternarsi dei cicli economici, ma anche per il progressivo ricorso a tecnologie e macchinari sempre più perfetti e precisi in grado di sostituire l’uomo”, il grido d’allarme di Francesco, che si affianca alla denuncia di “un’iniqua distribuzione delle opportunità di lavoro” e della tendenza “a pretendere da chi lavora ritmi sempre più pressanti”, a scapito del sacrosanto diritto al riposo. Senza contare i bambini, vittime di quella nuova schiavitù che è il lavoro minorile. Infine, l’appello alla responsabilità verso il creato, per “lasciare alle generazioni che seguiranno una Terra più bella e vivibile”.