Viaggio apostolico
“Speriamo che la visita del Papa in Cile possa portare la pace e che i mapuche siano ascoltati dai cileni. Tra noi c’è molto scontento”: lo dice al Sir Rosa Namuncurá, leader mapuche dell’associazione “Lonco calfucura”e pronipote del beato Ceferino Namuncurá, mapuche della Patagonia argentina. “Chiediamo il rispetto dei diritti ancestrali del nostro popolo” e “la libertà di portare avanti la nostra spiritualità, di parlare con Dio – afferma -. Ma la politica, lo Stato del Cile, è contro di noi. Noi vogliamo solo la pace e la giustizia”.
Desiderano solo la pace e il rispetto dei diritti ancestrali usurpati nei secoli, tra cui l’espropriazione delle loro terre. Sono i mapuche, il “popolo della terra” (da “mapu” terra e “che” gente”), gli indigeni nativi della zona tra Cile e Argentina. Anche se non ci sono stime precise si parla di circa 1 milione e mezzo di persone (il 10% dei cileni), di cui il 26,2% vive in condizioni di povertà. Oggi Papa Francesco è nelle loro terre, a Temuco, nell’Araucanía (i mapuche vengono chiamati anche Araucani), dove si concentra il 35% dei nativi, una regione del sud a 600 km da Santiago del Cile. Il Papa celebra la messa alle 10.30 ora locale all’aeroporto di Maquehue, poi pranza con alcuni mapuche nella casa “Madre de la Santa Cruz” per poi tornare nella capitale. Durante la messa è prevista anche una cerimonia mapuche, voluta da Papa Francesco. La “questione mapuche” è ancora una ferita aperta nella società cilena. Risale ai primi decenni dell’indipendenza del Cile, quando nel 1867 iniziò una campagna di occupazione dell’Araucanía da parte del nuovo Stato. I mapuche, fieri condottieri che avevano resistito perfino agli spagnoli, furono confinati in riserve e persero 9,5 milioni di ettari di terre. Molte delle promesse governative che prevedevano indennizzi, restituzione di terre e garanzie, non sono state mantenute. I mapuche sono tutt’ora oggetto di discriminazione sociale, con accuse di terrorismo e repressione per alcuni atti vandalici isolati di movimenti radicalizzati, arresti e dure sentenze. La Chiesa nel 2000 ha chiesto perdono per gli errori commessi e cercato di favorire lo sviluppo dei centri culturali mapuche, attraverso la pastorale indigena. Dopo la visita di Giovanni Paolo II nel 1987 che ebbe parole di sostegno nei loro confronti, ora Papa Francesco viene ad esprimere vicinanza e solidarietà. Da Santiago parla Rosa Namuncurá, leader mapuche dell’associazione “Lonco calfucurá” (“pietra azzurra”) e pronipote del beato Ceferino Namuncurá, mapuche della Patagonia argentina nato nel 1886, convertito al cristianesimo e diventato sacerdote salesiano, morto a Roma a soli 18 anni a causa di una tubercolosi. È stato beatificato nel 2007 a Chimpay, in Argentina.
Perché la visita di Papa Francesco può essere importante per il popolo mapuche?
La visita del Papa è importante perché può aiutarci a portare la pace. I mapuche in genere sono contenti della visita, perché siamo un popolo di pace. Siamo persone tranquille, amiamo la natura. Tra noi ci sono cattolici, appartenenti ad altre religioni, altri mapuche, esiste il sincretismo religioso. Non siamo tutti uguali ma è certo che siamo contenti di accogliere un Papa che cerca di promuovere la pace nel mondo. Alcuni protestano perché non è ancora risolta la questione delle terre usurpate.
Quali ricadute positive vi aspettate dalla visita del Papa?
Speriamo che la visita del Papa in Cile possa portare la pace e che i mapuche siano ascoltati dai cileni. Tra noi c’è molto scontento, anche io soffro moltissimo per il dolore dei miei fratelli.
Vivo a Santiago e qui siamo più tranquilli. Ma i nostri fratelli al sud soffrono molto di più per lo sfruttamento della terra, la sottrazione dei luoghi di culto… Mi chiedo perché? Crediamo in un Dio onnipotente che chiamiamo con un nome diverso ma è lo stesso che ha creato la terra, l’universo. Molti non capiscono perché facciamo riti e cerimonie diverse. Se il territorio è stato sfruttato o usurpato ci sono conseguenze sulla spiritualità dell’intero popolo mapuche, che si sente colpito.
Una delle vostre principali rivendicazioni riguarda le terre usurpate e Papa Francesco parla spesso nei suoi discorsi del diritto alla terra.
Per noi è un tema importantissimo. Mapuche significa proprio “popolo della terra”. Molti sono stati costretti ad emigrare in città come mio padre (si commuove, ndr). Soffriamo molto, soprattutto nelle regioni del sud. Perché esiste una legge antiterrorista molto dura, i nostri fratelli vengono arrestati e restano in carcere mesi e anni.
Sono situazioni molto dolorose per noi, che reclamiamo solo la libertà di portare avanti la nostra spiritualità, di parlare con Dio. Ma la politica, lo Stato del Cile, è contro di noi. E noi che possiamo fare? Noi vogliamo solo la pace e la giustizia.
Il Papa celebra oggi la messa nell’aeroporto di Maquehue, che prima era un territorio mapuche. Alcuni movimenti protestano contro questa scelta.
Sì era un luogo cerimoniale mapuche, ma come sempre il popolo non è stato consultato. Il Papa sta facendo qualcosa di buono perché viene a parlare di pace. Ma come noi rispettiamo una Chiesa cattolica anche i mapuche hanno diritto di vedere rispettati i loro luoghi sacri.
Alcuni mapuche protestano perché quella terra era un centro cerimoniale del nostro popolo ma è stato requisito dallo Stato. Bisogna consultare il popolo.
La vostra richiesta principale è quindi il rispetto dei diritti?
Sì, chiediamo il rispetto dei diritti ancestrali del popolo.
Cerchiamo di far capire alla nostra gente che vogliamo arrivare allo stesso obiettivo, la pace, perché tanta gente è arrabbiata e potrebbe ribellarsi ma noi non vogliamo che questo accada.
Lei è discendente del beato mapuche Ceferino Namuncura: qual è il suo messaggio?
Sì era mio zio, fratello di mio nonno, da piccolo viveva in Argentina nella Wall-Mapu, l’antica nazione mapuche. Andò in Italia al seguito di un prete ma ciò che desiderava di più, secondo quanto mi dice mio zio, era aiutare il suo popolo.