Il punto sulla legge 173 del 2015
Giovedì 22 febbraio, a Roma, presso il Cnel, la presentazione del volume “La continuità degli affetti nell’affido familiare”, a cui è seguita una tavola rotonda per fare il punto sulla normativa che ha introdotto il principio. A raccontare lo stato di attuazione della legge giovani, famiglie, presidenti di Tribunali, esperti e rappresentanti di associazioni
“Progettualità e cambiamento culturale”: sono le due chiavi di lettura dell’incontro, promosso a Roma, presso il Cnel, giovedì 22 febbraio, dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, per presentare la pubblicazione “La continuità degli affetti nell’affido familiare” e fare il punto sulla legge 173 del 2015, che ha introdotto la continuità affettiva nell’affido. Per far questo, l’appuntamento ha dato voce anche a ragazzi che hanno vissuto il percorso dell’affido, a famiglie affidatarie, ai presidenti di alcuni Tribunali per i minorenni, a esperti, ad associazioni e alla prima firmataria della legge, Francesca Puglisi.
La pubblicazione contiene i dati in possesso dei Tribunali italiani a proposito dell’applicazione della legge sulla continuità affettiva, interviste ad alcune famiglie affidatarie e una serie di raccomandazioni dell’Autorità garante a servizi sociali, Consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali, Anci, autorità giudiziarie e al Ministero della Giustizia. “La ricerca – ha affermato la garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano – è un punto di partenza, perché il nostro obiettivo è monitorare l’effettiva implementazione delle nostre raccomandazioni e
stimolare comportamenti virtuosi e prassi omogenee in ambito nazionale.
Inoltre, è un lavoro che s’inserisce in un disegno più ampio, che ha portato l’Autorità garante a occuparsi dal 2017 delle fragilità”. Laura Laera, vice presidente della Commissione per le adozioni internazionali, coordinatrice del gruppo di lavoro che si è occupato della ricerca e già presidente del Tribunale per minorenni di Firenze, ha spiegato che “un tempo adozione e affido correvano lungo binari paralleli”, mentre “la nuova legge introduce un principio di preferenza per gli affidatari, sempre che corrisponda al bene primario del minore”. “Il grande merito di questa legge – ha sostenuto – è stato codificare e promuovere il cambiamento culturale non solo nel mondo degli operatori, ma nelle famiglie”.
Nell’occasione sono stati anticipati i dati sull’affido al 31 dicembre 2016. “Non abbiamo un sistema informativo tempestivo sui dati riguardanti l’affido. Il ministero ha lanciato un’indagine campionaria e la rilevazione arriva al 31 dicembre 2016”, ha ammesso Raffaele Tangorra, della Direzione generale per la lotta alla povertà e per la programmazione sociale del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, per il quale un dato è chiaro: “In Italia non è esploso il fenomeno dell’allontanamento dei minori dalla famiglia. I numeri sono gli stessi da venti anni:
al 31 dicembre 2016 i bambini in condizione di allontanamento sono stati circa 26mila,
proprio come nel 1999. Solo nei primi anni 2000 c’è stata una piccola crescita fino a 30mila allontanamenti. Attualmente sono 14mila i ragazzi in affido e 12.600 i collocamenti in comunità”.
Spazio durante l’incontro anche per la storia di due ragazzi che hanno vissuto l’esperienza di affido, appartenenti al Care leavers network. Il primo a parlare è stato Davide Pirroni, 28 anni, oggi infermiere a Verona. “Sono stato in affido per 13 anni. Un percorso iniziato quando ne avevo 3. Quando mi hanno trasferito da una famiglia all’altra, ero sbigottito, perché mi ero affezionato alla famiglia che mi aveva accolto. Per un certo periodo sono anche rientrato nella mia famiglia di origine, ma non è stato positivo. Così a 12 anni sono stato accolto da una nuova famiglia, con la quale mi sono trovato molto bene. Mi hanno trasmesso valori, mi hanno saputo ascoltare e dare fiducia. Per questo, restano il mio punto di riferimento”. Dalla sua storia Davide trae una lezione fondamentale per chi si occupa dei minori in affido:
“Ascoltate quello che noi ragazzi abbiamo da dirvi”.
Anche Nancy Ama Okwaby, 29 anni, viene da Verona e per 14 anni è stata in affido. Oggi lavora presso un ente bancario e sta completando gli studi universitari in Scienze politiche-Relazioni internazionali. “Per me – ha dichiarato – l’ingresso nella famiglia affidataria è stato scioccante e creare una relazione affettiva difficile. Ho mantenuto costantemente i rapporti con la mia famiglia di origine, ma ricostruire la relazione con mia madre non è stato facile. Anche il periodo dell’adolescenza è stato complesso. Sono nata in Italia e la mia famiglia affidataria era italiana, ma io sono di origine africana. Così nell’età critica non riuscivo a capire chi ero. Solo in seguito ho capito la positività di questa esperienza e tuttora ho un ottimo rapporto con i componenti della famiglia affidataria, mi confronto con loro per qualsiasi scelta.
Mi hanno aiutato a crescere e a credere in me stessa.
Sono riuscita a recuperare anche il rapporto con mia madre”.
Hanno preso la parola anche due famiglie affidatarie con percorsi diversi. La prima, che ha chiesto di mantenere l’anonimato, ha raccontato come è passata, dopo le prime due esperienze di affido, da affidataria ad adottiva per il terzo bambino accolto a tre mesi. La coppia, con tre figli naturali adolescenti quando è iniziata l’esperienza del primo affido, si è trovata davanti alla scelta di cosa fare, quando per Luigi (nome di fantasia) a quattro anni è stata dichiarata dal Tribunale l’adottabilità. I genitori sono stati sentiti per una loro eventuale disponibilità all’adozione e hanno risposto di sì. Il papà ha evidenziato: “L’arrivo di bambini in affido ha avuto un impatto positivo sui nostri figli, perché sono cresciuti in disponibilità e stima reciproca. Spero di avere insegnato loro un valore in più: l’accoglienza, la generosità”. Per la seconda famiglia, che ha accolto in affido molti bambini nel tempo, ha parlato la mamma, Maria Teresa Scappin. Attualmente hanno in affido quattro minori. Il caso che ha presentato, dove è stata riscontrata una criticità nella continuità degli affetti, riguarda invece una bambina di 4 anni che è stata con loro per poco più di un anno, per andare poi in affido in un’altra famiglia. “Poco prima di andarsene mi ha regalato una bacchetta e mi ha detto: ‘Sei la mia fata madrina’. Ogni volta che ci incontreremo mi porterai un vestito. Purtroppo, le ho potuto regalare solo tre vestiti. Anche le altre bambine in affido da noi sentono la sua mancanza”.