Giornalismo

Scegliere da che parte stare

In questi primi giorni di marzo, oltre le cene e le parole di circostanza, tra un elenco di ragioni per cui le donne non possono dirsi in festa (la violenza, il femminicidio, gli abusi in casa o nei provini), porgiamo a Federica la nostra mimosa. A lei che è donna, moglie, mamma e giornalista. A lei che sa esserlo sempre e contemporaneamente. A lei che, pensando al futuro dei figli e non ad un eroismo da prima pagina, ha trovato l’erculea forza per ergersi, sola, contro tre clan, ma anche per spiegare, a un marito che cercava di trattenerla, quanto fosse indispensabile denunciare quanto visto

Questo è un omaggio a Federica Angeli. I tg le hanno riservato un servizio lunedì 19 febbraio, quando ha testimoniato nel processo contro il clan Spada di Ostia, ma il suo impegno in questa storia è iniziato nel 2013. Con le sue inchieste ha scoperchiato una parte degli affari della suburra romana, pagina semi oscura a cui lei, giornalista di Repubblica, ha tolto parte del velo. La ricompensa è stata la perdita della libertà e una vita sotto scorta da quasi 1.700 giorni, dato che abita in quella stessa città di cui ha denunciato le infiltrazioni mafiose.

Sola contro tutti si è anche trovata a testimoniare contro un tentato omicidio. Sola, perché i vicini di casa – come lei svegliati in piena notte e come lei affacciatasi dopo la sparatoria avvenuta sotto casa tra clan mafiosi per il controllo di una sala slot -, hanno scelto di obbedire al capo dei malavitosi che li intimava: “Che avete da guardare, tornate dentro, lo spettacolo è finito”. Sono rientrati, in un surreale concerto di vetri chiusi e tapparelle abbassate di colpo in pieno luglio. Solo lei, pur di fronte alla contrarietà del marito, ha sentito il dovere di andare a denunciare il fatto alla caserma dei carabinieri. Da allora vive sotto scorta.

Federica è una giornalista capace. Se i premi lo dimostrano ricordiamo: Cronista dell’anno nel 2012 e 2013, Donna dell’anno nel 2015, il Piersanti Mattarella nel 2016, il Falcone e Borsellino nel 2016, il Premio Nazionale Borsellino nel 2017. Fin qui la sua vita professionale.

Ma Federica Angeli è una moglie e una mamma di tre bambini, che non sono stati risparmiati dalle minacce: “Hai visto la sua piccolina? – così Armando Spada si rivolgeva a un suo complice mentre la teneva segregata per due ore nel corso di una intervista finita male – ha due occhi azzurri… Cominciamo da lei?”. E Federica ha confessato di aver a quel punto perso la lucidità di cui va fiera, quella che la guida nella difesa di verità e legalità. Parole tanto care anche all’impegno di don Luigi Ciotti.

In questi primi giorni di marzo, oltre le cene e le parole di circostanza, tra un elenco di ragioni per cui le donne non possono dirsi in festa (la violenza, il femminicidio, gli abusi in casa o nei provini), porgiamo a Federica la nostra mimosa. A lei che è donna, moglie, mamma e giornalista. A lei che sa esserlo sempre e contemporaneamente. A lei che, pensando al futuro dei figli e non ad un eroismo da prima pagina, ha trovato l’erculea forza per ergersi, sola, contro tre clan, ma anche per spiegare, a un marito che cercava di trattenerla, quanto fosse indispensabile denunciare quanto visto.

Lo era per la giornalista coerente che ha sempre cercato di essere: “Io ho scritto contro i clan e contro l’omertà dei concittadini. Adesso toccava a me: non potevo fare lo stesso”.

Lo era per la madre, che non poteva accettare di lasciare ai figli una vita di serrande abbassate su un mondo corrotto, dove la giustizia si fa con spari e pugnalate, estorsioni e omicidi.

Era il luglio 2013. Qualche giorno fa ha deposto contro chi le aveva detto: “Se scrivi ti sparo in testa”. Prima di affrontare il processo ha scritto una lettera rivolta ai suoi bambini: “Ho deciso di non essere come loro e di non chinare il capo. La mia libertà perduta è quella che consegno nelle vostre mani andando a testimoniare. Che le mie parole possano rendere voi capaci di scegliere sempre da che parte stare e irrobustire le vostre ali”.

(*) direttore “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)