Chiesa e società
La nostra è una società che rischia di non stupirsi più di nulla e tratta le persone – donne comprese o forse proprio loro in modo particolare – come merce o beni di consumo
Un certo stupore ha suscitato l’articolo “Il lavoro (quasi) gratuito delle suore” a firma di Marie-Lucile Kubacki, comparso recentemente in un inserto mensile dell’Osservatore Romano dedicato al tema “donna e lavoro”. Attraverso i racconti di suor Marie – nome di fantasia ma di una suora reale – l’autrice dà voce a quello che appare come un mancato o non pieno riconoscimento del prezioso contributo che le suore portano, in vario modo, all’interno della Chiesa. Il loro apporto a volte viene dato per scontato dagli uomini di Chiesa, ma anche – aggiungiamo noi – dalle comunità cristiane, e conseguentemente non è valorizzato in modo adeguato, neanche da un punto di vista economico.
Altrettanto stupore hanno suscitato le parole di Papa Francesco nel libro, in uscita in questi giorni, “Dieci cose che Papa Francesco propone alle donne”, a firma della professoressa María Teresa Compte, della Pontificia Università di Salamanca (Spagna). “Mi preoccupa – scrive Papa Francesco nel Prologo al volume – il persistere di una certa mentalità maschilista, perfino nelle società più avanzate, dove si consumano atti di violenza contro la donna, trasformandola in oggetto di maltrattamento, di tratta e di lucro, come pure di sfruttamento nella pubblicità e nell’industria del consumo e del divertimento”. Lo sguardo del Pontefice si posa anche sul ruolo della donna all’interno del mondo ecclesiale: “Mi preoccupa anche che, nella stessa Chiesa, il ruolo di servizio a cui ogni cristiano è chiamato, scivoli a volte, nel caso delle donne, verso ruoli più di servitù che di vero servizio”.
In realtà il fatto che alla donna – laica o consacrata – sia riconosciuto il posto che le spetta nella società civile e all’interno della Chiesa è un bene per tutti, sia per gli uomini sia per le donne. Per questo il Papa auspica che si possa “approfondire sempre più non solo l’identità femminile, ma anche l’identità maschile, al fine di servire meglio l’essere umano nel suo complesso”. Questo sguardo complessivo che mira al bene di tutti – uomini e donne – può mettere al riparo da logiche di carattere sterilmente rivendicazionista, senza tuttavia nascondere le ombre ancora presenti e i passi necessari ancora da compiere per un’adeguata valorizzazione della donna.
In una messa a Santa Marta, commentando il brano della creazione dell’uomo e della donna, Papa Francesco ha detto che Adamo “prima di vedere Eva l’ha sognata”, cioè “per capire una donna è necessario sognarla, prima”. Questo sognare – a nostro avviso – significa sapersi stupire della vita e di quanto essa dona: è lo stupore di Adamo, che canta un inno di gioia quando vede per la prima volta Eva accanto a sé. Chi sa stupirsi sa anche rispettare e riconoscere il valore dell’altro (e quindi anche della donna). La nostra è una società che rischia di non stupirsi più di nulla e tratta le persone – donne comprese o forse proprio loro in modo particolare – come merce o beni di consumo. I recenti scandali che hanno sconvolto il mondo cinematografico di Hollywood ne sono un esempio eloquente. Per non parlare dei tragici fatti, anche di casa nostra, che annoverano drammaticamente le donne tra le principali vittime della violenza domestica. Sembra quasi che non siamo più in grado di parlare nelle nostre case e che la violenza sia l’ultimo disperato tentativo per cercare una forma – certamente errata – di comunicazione.
Lo stupore invece fa scoprire la gratitudine per il dono che è l’altra persona e per il dono che è la donna. Ancora Papa Francesco nell’omelia di Santa Marta ebbe a dire che “è lei – la donna – che porta quella armonia che ci insegna ad accarezzare, ad amare con tenerezza e che fa del mondo una cosa bella”. Di questo amore tenero, di cui la donna è capace, oggi dobbiamo imparare a stupirci e ad esserne grati, perché ne abbiamo urgentemente bisogno.
(*) direttore “L’Azione” (Vittorio Veneto)