Insegnanti violente
Non può esserci adulto – quale che siano la sua professione e le sue scelte di vita – che alzi una mano su un piccolo senza farla scendere come carezza. Perché le sberle arrossano le guance per qualche minuto, feriscono il cuore per molto di più
Lascia sgomenti quanto accaduto. Anche qui nel territorio. E prima ancora altrove: da Milano ad Atella, da Tarquinia a Brindisi. Punizioni corporali per ottenere disciplina da bambini dell’asilo: schiaffi, strattoni, urla a dieci centimetri dal naso. Terribili per gli acuti e ancor più per il tono rabbioso, ringhioso quasi.
Fanno paura due volte queste scene.
Prima per come sono stati trattati i bambini. Bambini affidati in fiducia dai genitori. Affidati non a volontarie, ma a insegnanti pagate per il loro lavoro.
Certo, è sempre troppo facile giudicare da fuori e di solito anche sbagliato. Tanto più se si conoscono solo frammenti di immagini.
Ed è altrettanto vero che può capitare di fare una scelta, anche lavorativa, che nel concreto si rivela diversa dai nostri pensieri. Sulla carta una professione piace, ma vivendola ci si ritrova inadatti ai ritmi, alla tensione, all’ambiente. Ebbene, chi si trovasse in una simile situazione, proprio nel nome di quell’amore verso i bambini per il quale aveva forse scelto di intraprendere l’insegnamento, dovrebbe trovare il coraggio, per onestà verso se stesso e verso gli altri, di farsi da parte.
La seconda paura è per quello che stiamo diventando, se l’aggressività non la sappiamo più trattenere, noi adulti, nemmeno di fronte ai più piccoli.
Chi è ogni giorno alla prova dei fatti potrebbe obiettare e far presente le non sempre idilliache condizioni: il poco personale, le tante ore, la vivacità irriverente dei bambini – che però è gioia e curiosità di vivere. Teniamo tutto presente.
Ma non basta. Restano intrappolate nei timpani le urla stridule e cattive: “Mi sono rotta”, “Cosa ridi” – a un bambino -, “Stai zitto”. E agli occhi ritornano quei colpi in testa e sulla nuca, le spinte violente sotto il tavolo fino a che sedia e bambino non ci sbattono contro.
Tutto questo non ha giustificazione alcuna. Né possibile comprensione.
Certo, ben si ricorda che tra le quindici professioni per le quali è consentito il trattamento pensionistico anticipato ci sono gli insegnanti della scuola d’infanzia e gli educatori di asili nido. Si ricordano anche che casi analoghi sono accaduti negli ultimi anni più volte, segno di un disagio già emerso. Eppure, e nonostante tutto, mai possono essere accettate simili scene di violenza su bambini. Scene non presunte o raccontate da terzi ma immortalate dalle telecamere dei Carabinieri.
Per chi ha un credo nel cuore, è immediato il ricordo della dolcezza con cui San Matteo narra l’episodio di Gesù con i piccoli, presi a modello anche per gli adulti. O la vita loro dedicata di san Giovanni Bosco e san Filippo Neri. O l’esempio di Madre Teresa china su ogni bambino del mondo, moribondo o nascituro che fosse. Ma la fede non è un obbligo; seguirne i modelli nemmeno.
Eppure, a delle insegnanti il nome Montessori dovrebbe dire molto. Come indelebile dovrebbe restare il ricordo del suo metodo educativo dal quale le punizioni erano bandite.
Eppure, ancora, non può esserci adulto – quale che siano la sua professione e le sue scelte di vita – che alzi una mano su un piccolo senza farla scendere come carezza. Perché le sberle arrossano le guance per qualche minuto, feriscono il cuore per molto di più.
(*) direttore “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)