L'intervista
“Non condannate l’Europa. Certamente ci sono molte cose che devono migliorare. Allora facciamolo. Ma non mettiamo in pericolo il progetto europeo. È un rischio enorme”. È il messaggio che monsignor Jean-Claude Hollerich lancia ai popoli europei all’indomani della sua nomina a presidente della Comece, la Commissione degli episcopati dell’Unione europea. “Perché – spiega – senza Europa noi saremmo molto più poveri, più isolati, avremmo le guerre molto più vicino a noi. A tutti coloro che non amano l’Europa bisogna mostrare ciò che potrebbe essere l’alternativa. E l’alternativa sarebbe peggio della peggiore Unione europea”
“Possiamo risolvere i problemi, solo se ripartiamo da prospettive nuove, altrimenti rimaniamo prigionieri del passato, legati ai demoni del nostro passato. Ed è quello che non vogliamo oggi in Europa”. Con questo sguardo rivolto al “nuovo”, monsignor Jean-Claude Hollerich, ha aperto a Bruxelles la sua prima conferenza stampa come presidente neo eletto della Comece, la Commissione degli episcopati dell’Unione europea. Con lui erano presenti anche 3 dei 4 vicepresidenti dell’organismo europeo: mons. Noël Treanor (Irlanda), mons. Mariano Crociata (Italia), mons. Jan Vokal (Repubblica Ceca). E questo perché – chiarisce subito mons. Hollerich – “la nuova presidenza lavorerà in squadra”. Nel presentarsi ai giornalisti, l’arcivescovo lussemburghese ha ricordato di aver trascorso gran parte della sua vita fuori dall’Europa, vivendo 23 anni in Giappone e ha detto: “Stare fuori dall’Europa mi ha permesso di guardare a questa terra con una luce diversa. Quando vivi lontano, metti in evidenza ciò che accomuna le identità e non ciò che divide. Spero di continuare ad avere sempre questa prospettiva”. Il Sir lo ha intervistato.
L’Europa ha bisogno di prospettive nuove per risolvere i suoi problemi. Ci può dire di quali prospettive ha bisogno?
Penso che l’Europa abbia bisogno soprattutto di uomini politici che si interessano alla vita quotidiana delle persone. Ci sono certamente differenze tra i PAESI e all’interno degli stessi PAESI.
Ma ci sono persone che si sentono scartate (un fenomeno dovuto sicuramente alla mondializzazione) e vedono l’Europa non come un aiuto ma come una minaccia.
Occorre assolutamente prendere coscienza di questo sentimento e cambiarlo. Per farlo occorre mostrare alle persone che tutti possono beneficiare dell’Unione europea e incoraggiare gli uomini e le donne impegnati in politica a prendere misure che le persone si attendono, che nascono dalla conoscenza della realtà in cui vivono le persone oggi in Europa. Pensare, per esempio, a come creare posti di lavoro per i giovani o a come permettere alle donne di non essere pagate meno degli uomini. Il vantaggio che abbiamo come vescovi è proprio quello di essere in contatto con le persone, e abbiamo quindi il dovere di ricordare ai politici che è importante – e ripeto: estremamente importante – affrontare questi problemi.
Se ciò non avviene, il rischio è che i partiti populisti crescano e facciano sempre più presa sull’opinione pubblica.
Alla radice del successo dei populismi, vi sono ragioni molteplici. È chiaro che in Europea le identità si sentono minacciate. Siamo in un delicato momento di mutazione culturale. Siamo solo all’inizio di una cultura digitale che sta portando con sé diverse conseguenze, cambiando per esempio lo spazio pubblico. Solo fino a pochi anni fa, i media tradizionali, e cioè i giornali e le televisioni, erano spazio di discussione e di confronto di opinioni diverse. In questo modo, svolgevano un ruolo fondante per la democrazia.
Oggi con l’avvento di una cultura digitale, lo spazio pubblico è attraversato dai like.
È una comunicazione dove non si confrontano più le opinioni ma si scontrano gli estremi, da una parte, chi è a favore di qualcuno o qualcosa e, dall’altra, chi la pensa all’esatto contrario. Si è perduto in questo modo lo spazio della discussione, naufragando in un luogo dove il confronto ha lasciato il passo a uno scambio veloce di messaggi.
A questo poi si aggiunge la crisi migratoria contro la quale i populismi fanno la loro fortuna.
Penso, però, che questa crisi sia in realtà solo un capro espiatorio. Quello che emerge in realtà è un clima di scontento generale e di sfiducia nel futuro. In questo contesto, di fronte agli sbarchi si reagisce per paura. Bisogna fare però attenzione: ci sono situazioni di forte reazione contro gli stranieri anche laddove non ce ne sono o non sono così numerosi.
È una paura generalizzata per l’altro, per chi è differente.
Questa paura però va accolta, non condannata, né giudicata poco seria. Non dobbiamo essere contro nessuno ma mostrare piuttosto l’arricchimento che i migranti possono apportare nelle nostre società. Vengo da un Paese in cui il 45% degli abitanti è straniero a cui si aggiunge un 10% che ha doppia nazionalità. Ma il Paese è consapevole che questa presenza è necessaria per mantenere il livello di vita. Si tratta, dunque, di guardare la realtà, capire le cause che generano certi sentimenti, andare a fondo nel cuore della gente, e poi mettersi in ascolto e in dialogo. La democrazia è questo spazio in cui gli uomini politici e le persone in Europa si mettono insieme e parlano.
Di fronte a questi problemi e queste sfide, qual è il ruolo delle Chiese in Europa?
Sì, bisogna parlare al plurale perché sarebbe una grave contro-testimonianza non affrontare queste sfide insieme. Sarebbe una contro-testimonianza se le Chiese cristiane agissero da sole, in maniera disorganizzata o addirittura opposta. Le Chiese, dunque, insieme devono mettersi in dialogo con tutti, con il mondo politico, i partiti, con il popolo al quale apparteniamo. E devono dare orizzonti di senso alle persone. Perché molto dello scontento vissuto oggi in Europa dipende dal fatto che si è perduto il senso, la bussola. Le Chiese dovrebbero far emergere il lato positivo della vita e la cultura cristiana dell’Europa. Il passato non tornerà più. Non si tratta, quindi, di fare una restaurazione. Ogni tentativo di restaurazione ha sempre fallito nel passato. Siamo e viviamo in un contesto storico in continua trasformazione. Ma dobbiamo richiamare le radici dell’Europa perché l’Europa vada avanti.
Il problema è che i popoli europei non amano l’Europa.
È un peccato.
Perché?
Perché senza Europa noi saremmo molto più poveri, più isolati, avremmo le guerre molto più vicino. Ci siamo abituati qui, in Europa, a vivere nella sicurezza. Non abbiamo mai vissuto nella storia un periodo così lungo di pace (a parte la situazione in Ucraina) e la diamo per scontata. A tutti coloro che non amano l’Europa bisogna mostrare ciò che potrebbe essere l’alternativa. E l’alternativa sarebbe peggio della peggiore Unione europea.
Quale messaggio a nome dei vescovi dell’Unione europea vuole dare oggi agli europei?
Non condannate l’Europa. Certamente ci sono molte cose che devono migliorare. Allora facciamolo. Ma non mettiamo in pericolo il progetto europeo. È un rischio enorme.