Dopo il voto
Per il presidente della Rur (Rete urbana delle rappresentanze), “una società complessa come la nostra ha bisogno di ancoraggi comuni, di valori condivisi. E’ da qui che bisogna ripartire”
“La società italiana è sempre stata divisa, ma c’erano delle cerniere che funzionavano da giunzioni, anche territorialmente. Effettivamente adesso è scomparsa una cerniera tra Nord e Sud che non era soltanto geografica”. Giuseppe Roma, per venticinque anni direttore generale del Censis, ora è presidente della Rur (Rete urbana delle rappresentanze), un centro di ricerca che mette insieme istituzioni, imprese, associazioni nella prospettiva di aggregare realtà metropolitane e sistemi locali. Tra i suoi tanti incarichi è stato anche consulente della commissione parlamentare sulle periferie, la cui relazione è stata uno degli ultimi atti della legislatura da poco conclusa. Con lui proviamo a ragionare sulle dinamiche sociali che sono dietro al voto del 4 marzo.
Dalle urne è emersa l’immagine di un’Italia nettamente divisa in due. Non c’è più, o è ridotta ai minimi termini, quella fascia centrale che storicamente è stata connotata da un orientamento di centrosinistra. Com’è potuto accadere?
I dualismi si sono indubbiamente accentuati, ma il voto non è la causa di questo processo che nasce invece da dinamiche di natura sociale ed economica.
Quella parte dell’Italia centrale che aveva un modello di sviluppo paragonabile a quello delle regioni settentrionali, da tempo si è agganciata direttamente al Nord.
L’altra è diventata sempre più parte del Sud. Un Sud che ha tante eccellenze ma non riesce a trovare strategie autonome di sviluppo e a utilizzare in modo efficiente e coordinato le risorse di cui pure dispone.
In che misura i fattori economico-sociali hanno inciso sui risultati elettorali?
Ovviamente hanno inciso, ma non si può ridurre tutto – tanto per fare un esempio – all’impatto della proposta del reddito di cittadinanza. A me pare che nel voto ci sia una forte componente sociologico-antropologica, che ha a che fare con sentimenti e pulsioni più che con valutazioni di tipo razionale. Se il cinquanta per cento degli elettori vota ‘contro’, com’è accaduto, la chiave di lettura che intravedo è quella di una denuncia dell’impotenza della politica nell’affrontare i problemi. Da un parte non si tollera più che si lascino andare le cose come vanno e si cerca qualcosa di diverso, dall’altra non si è più capaci di trasmettere alcuna memoria e, anzi, vengono puniti i partiti che hanno più storia, in quanto identificati con un apparato pubblico di cui si critica fortemente l’inefficienza. Del resto,
l’impotenza della politica ha finito per indurre l’idea che l’opinione pubblica abbia quel potere taumaturgico che la politica non ha più.
E questo lo si vede nel fatto che, quando emerge un problema, la soluzione viene cercata alla fine del processo e non intervenendo sulle cause. Se c’è la disoccupazione giovanile, è una mistificazione affermare che il problema si risolve dando più lavoro ai giovani. E come? Per dare più lavoro ai giovani non basta volerlo e dichiararlo, occorre che ci sia bisogno di lavoro, che le aziende assumano e quindi bisogna fare sviluppo perché ciò accada. Se c’è un allarme perché i giovani non avranno la pensione, si pensa subito a fare un apposito fondo, mentre l’unico modo per risolvere davvero il problema è mettere i giovani nelle condizioni di lavorare e quindi di versare i contributi.
L’altro grande tema che è stato messo in rapporto con l’esito del voto è quello dell’immigrazione. Un’analisi del Centro studi elettorali della Luiss, la stessa che ha evidenziato un legame tra province con maggiore disoccupazione e voto al M5S, ha evidenziato una correlazione tre le province in cui è maggiore il tasso di presenza di stranieri e i consensi per la Lega.
La analisi correlazionali hanno sempre un fondo di verità che bisogna saper interpretare non meccanicamente. Sull’impatto dell’immigrazione colgo tre aspetti. Il primo è che la percentuale di persone che hanno subìto qualche danno o che comunque hanno problemi diretti nel rapporto con gli stranieri è minima. Il secondo è che, invece, la percezione collettiva del problema è molto elevata. Il terzo è che ci sono anche forze politiche che agiscono per aumentare questa percezione e le paure connesse. Il che non esclude, ovviamente, che ci sia una parte dell’opinione pubblica che consapevolmente non ha condiviso il modo in cui è stato gestito il fenomeno migratorio.
Da che cosa si può partire per cercare di ricucire questa Italia divisa?
Mi lasci dire che non è una questione di ingegneria politica. Si stanno costituendo nuovi blocchi sociali oltre che territoriali e gli interessi sono divergenti. Un punto di equilibrio tra gli interessi va trovato, evidentemente, ma non basta. Una società complessa come la nostra ha bisogno di ancoraggi comuni, di valori condivisi. E’ da qui che bisogna ripartire.