Dopo Cagliari
L’arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione episcopale per il lavoro e i problemi sociali parla di un nero fatto di “disastri ambientali spesso avvenuti per disinteresse della politica”, e di un bianco che è emblema di “sinodalità”, “rete”, “bene comune”
Da una parte, la delocalizzazione e “l’economia che uccide”, dall’altra le buone pratiche che si trasformano in “cantieri di lavoro”. Nelle parole di mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto e presidente della Commissione episcopale per il lavoro e i problemi sociali, tinte di colori opposti. C’è un nero fatto di “disastri ambientali spesso avvenuti per disinteresse della politica”. C’è un bianco che è emblema di “sinodalità”, “rete”, “bene comune”. “Il compito della Chiesa – spiega il presule – è quello di indicare il criterio e fare pressione sulle autorità in modo che venga salvaguardato il bene della vita e il bene del lavoro. È un’azione positiva, non è un aspettare fatalisticamente, ma un intervenire e un interagire”. Parole che indicano una prospettiva da evitare: “Quando l’impresa ha come obiettivo la massimizzazione del profitto, nascono disastri causati dal fatto di non tenere al centro dell’attenzione la persona”. E poi auspicano una prospettiva “possibile”: “Il profitto è utile e necessario, altrimenti non c’è sviluppo economico, ma c’è un bene più grande da salvaguardare, quello legato alla realizzazione della vita. L’economia uccide proprio quando il profitto è isolato dal resto”.
Eccellenza, tra le tinte scure dell’economia italiana la crisi dell’Ilva è una delle più preoccupanti. Lei ha avuto occasione di incontrare la cordata interessata a rilevare il gruppo. Che cosa è emerso?
Al nuovo acquirente dell’Ilva ho detto quale fosse stato il difetto dell’impresa: preoccuparsi di fare un acciaio buono ma senza preoccuparsi di mantenere un rapporto con la città, con il problema educativo, della salute e della vita. Ho chiesto al direttore che le carte siano in regola prima di cominciare, altrimenti sarò il primo a intervenire. Per quanto riguarda i dipendenti in esubero, mi è stato detto che saranno utilizzati nella riqualificazione. Credo che, dopo l’incontro con i sindacati, si riuscirà a trovare un accordo.
La cosa importante è porre un punto fermo con interventi urgentissimi come, ad esempio, la copertura dei parchi naturali dalle polveri.
Sarebbe un segno. Il compratore è stato chiaro dicendo che vuole rilevare l’Ilva e noi saremo rigorosi sia nell’attenzione verso l’impegno per la tutela della salute delle persone sia verso le garanzie per chi chiede certezze lavorative.
Un’altra vertenza in Italia, quella Embraco, ha reso incerte le sorti di 500 lavoratori. Quali preoccupazioni crea al Paese?
È una vicenda profondamente ingiusta e immorale. Lo è, in particolare, la volontà di licenziare dei dipendenti se un altro Paese offre manodopera a costi più bassi. Una delocalizzazione di questo tipo è disumana. È un esempio di un’economia che uccide e che punta solo al profitto. Cercare di rispondere ai problemi del luogo sarebbe molto più umano.
Secondo lei, quali difficoltà si riscontrano sui territori nel tentativo di realizzare un lavoro davvero libero, creativo, partecipativo e solidale, auspicato durante la Settimana sociale?
C’è un aspetto che muove tutta la nostra attività, l’aspetto dell’unità e del metodo sinodale, cioè della comunione. Molte volte si traduce in organizzazione e non dura se è solo tale. Bisogna scoprire come creare relazioni con gli altri produce un bene maggiore per sé e per gli altri. Questo aspetto non è mai scontato. La difficoltà è quella di mettere in moto un meccanismo che faccia continuare il metodo sinodale di Cagliari. Ed è quello che stiamo cercando di fare.
Quale contributo possono dare i “cantieri di lavoro”?
I cantieri di lavoro identificano buone pratiche presenti a livello nazionale e che hanno la caratteristica della ripetibilità. Quindi,
anche in un luogo che può sembrare un deserto possono mettere in moto processi innovativi.
Poi, auspichiamo che si realizzi una rete tra loro. Ai cantieri di lavoro vanno affiancate anche le esperienze del Progetto Policoro e le attività negli oratori, che non devono occuparsi solo della gestione del tempo libero dei ragazzi ma anche dell’orientamento al lavoro.
Quali feedback avete percepito dai territori da questo meccanismo messo in atto a Cagliari?
Una grande disponibilità. Anche vescovi che non hanno partecipato alla Settimana sociale, davanti all’eco giunta alle loro orecchie, si sono dichiarati immediatamente disponibili, ad esempio, a organizzare incontri con la pastorale del lavoro, con la pastorale giovanile e con la consulta dei laici. Si è davvero messo in moto un meccanismo.
Che può sfociare nella proposta politica…
Se c’è qualcuno che fa campagna politica, interessandosi del bene comune, può essere un interlocutore con cui entrare in dialogo. È un’azione che viene prima della politica e che si declina in maniera operativa e nella proposta.
Quale sarà il vostro atteggiamento nei confronti del nuovo Parlamento?
Noi dovremo tallonare i politici eletti in modo che non sbaglino le loro valutazioni.