Economia
Tener fede alle grandi promesse elettorali e far quadrare i conti è meno facile quando l’economia è debole. Quando la torta è piccola si possono guadagnare consensi stando all’opposizione, si rischia di perderli prendendo decisioni. Governare è, paradossalmente, molto più difficile che vincere una competizione elettorale. È già difficile in una città, figuriamoci per l’intero Paese
Il 10 aprile è vicino, vicinissimo. Improbabile che il nuovo Governo possa essere già formato e operativo. E che le formazioni uscite vincenti dal voto del 4 marzo vogliano stravolgere subito un capitolo delicato come il Def, il Documento di impegni economici e finanziari che dovrà guidare tutte le iniziative economiche dell’Esecutivo. Toccherà probabilmente al Governo in carica, guidato da Paolo Gentiloni, presentare un testo molto tecnico, di continuità con il passato, avendo già in casa buona parte delle risorse necessarie per scongiurare un aumento dell’Iva che vale 12,4 miliardi. Il Def si può interpretare e correggere fino all’autunno quando – si spera – maggioranza e Governo saranno in piena attività.
Possiamo quindi definire l’approvazione del Def entro aprile un “non problema”? Non proprio.
I tempi stretti suggeriscono uno scavalcamento non traumatico della scadenza prevista dalla legge 7 aprile 2011 che impone la presentazione alle Camere di un Documento di medio termine: è composto da un Programma di Stabilità (cioè i tempi di riduzione del debito pubblico), dall’andamento e le previsioni di Finanza pubblica, entrate e uscite con relative coperture. E un programma nazionale di riforma (Pnr) su ciò che è stato fatto e che si intende fare per correggere squilibri macroeconomici e di competitività.
Tecnicamente il Def viene presentato dal Governo e approvato a maggioranza semplice entro aprile dal Parlamento (in questo caso molto rinnovato), passerà poi all’esame comunitario che dovrà valutarlo, rendere pubblico il giudizio e guardare le compatibilità con il disegno europeo. In genere un Def non viene bocciato, si sottolineano i punti deboli, si chiedono correzioni o manovrine. La Commissione europea capisce bene in quale contesto vengono approvati gli impegni interni dei singoli Paesi.
Se si torna indietro di un anno, all’aprile 2017, con un Pd (appena sconfitto al Referendum del 4 dicembre) e Ncd al Governo, si avvertivano già nel Def le preoccupazioni per le elezioni politiche del 2018. Con un Pd al Governo (in particolare il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan) disposto a concedere una riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro nelle imprese e un leader di partito, Matteo Renzi, contrario ad alcuni inasprimenti dell’Iva sui consumi per non diventare “il partito delle tasse”. Era gioco facile per Centrodestra e Movimento 5 Stelle prendere le distanze su tutto: “E’ una sentenza di morte per il Paese”.
Ora le decisioni rilevanti toccheranno a loro. Anche se il 10 aprile il Def verrà tecnicamente presentato da un Governo uscente, le ex opposizioni dovranno decidere nelle Aule parlamentari se astenersi o bocciarlo. In entrambi i casi dovranno “venire allo scoperto” e indicare come coprire il costo dell’annullamento della Legge Fornero, come finanziare il reddito di cittadinanza, flat tax e tutte le altre parole d’ordine della campagna elettorale che potrebbero avere un costo immediato valutato sui 60-80 miliardi. E’ interesse delle formazioni premiate dal voto mostrare il volto di Governo e non solo quello di lotta. I tecnici della Lega-centrodestra e dei 5Stelle sono al lavoro per indicare le vie alternative. Per confermare agli elettori un accenno di svolta che arriverà più avanti.
Nelle mozioni parlamentari
il Def diventerà la prima prova di capacità dei neo-vincenti.
In attesa del Governo vero che dovrà pagare il conto delle promesse elettorali trovando le necessarie risorse, con introiti ben definiti e certi, non incassi teorici. Anche in passato, sono state usate formule tipo lotta all’evasione fiscale, agli sprechi, maggiori entrate dalla crescita economica (+1,5% nelle stime Ue) o da privatizzazioni (ma ultimamente piacciono meno).
Tener fede alle grandi promesse elettorali e far quadrare i conti è meno facile quando l’economia è debole. Quando la torta è piccola si possono guadagnare consensi stando all’opposizione, si rischia di perderli prendendo decisioni. Governare è, paradossalmente, molto più difficile che vincere una competizione elettorale. È già difficile in una città, figuriamoci per l’intero Paese.