Tecnologia e solidarietà
Nei giorni scorsi 120 studenti provenienti da 60 università del mondo e appartenenti a fedi diverse (cattolici, protestanti, musulmani, sikh, induisti, buddisti ed ebrei) hanno partecipato al primo “Vatican Hackathon”, l’iniziativa promossa dalla Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede e che ha trovato l’apprezzamento di Papa Francesco. Di com’è andata e delle prospettive future ne abbiamo parlato con mons. Lucio Adrian Ruiz, segretario del Dicastero per la Comunicazione
Talento, conoscenza e voglia di migliorare l’umanità. Questo il profilo dei 120 millenials (45% ragazze e 55% ragazzi) che, provenienti da 60 università del mondo, nei giorni scorsi si sono sfidati nel primo “Vatican Hackathon”, un evento promosso dal Vaticano in cui giovani di 28 nazionalità hanno fatto a gara per trovare e proporre soluzioni tecnologiche ad alcuni dei grandi problemi di oggi. Tre le sezioni in cui hanno gareggiato: “inclusione sociale”, “dialogo interreligioso” e “migranti e rifugiati”. “I Millennials sono davvero una realtà che ci sfida”, afferma mons. Lucio Adrian Ruiz, segretario della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede (SpC), che ha seguito passo passo la “maratona dei cervelli” e che ora sarà impegnato a far sì che quanto proposto trovi concretezza e applicazione.
L’esperienza vissuta la scorsa settimana in Vaticano può essere riassunta con le parole con cui domenica scorsa Papa Francesco nel salutare i partecipanti al primo “Vatican Hackathon” ha ricordato che “è bello mettere l’intelligenza, che Dio ci dona, a servizio della verità e dei più bisognosi”. È stato così?
Certo. Quello che si è svolto è stato un hackathon (un evento per esperti informatici quali sviluppatori di software, programmatori e grafici, ndr) come tanti che organizzano tante università, ma con la particolarità che è stato organizzato dal Vaticano e non solo nel Vaticano. Lo abbiamo fatto convocando i giovani per pensare un’idea al servizio dei più bisognosi.
L’obiettivo non era solo quello di presentare tecnologie ma che fossero utili per chi soffre.
Se dovesse utilizzare tre parole per descrivere cosa è stato il primo “Vatican Hackathon” quali sceglierebbe?
Intelligenza, entusiasmo e creatività. Intelligenza, perché hanno partecipato giovani assolutamente brillanti nello loro discipline. Hanno fatto vedere di essere intelligenti in mille cose, non solo per i progetti presentati ma nelle relazioni fra di loro, per esempio per gestire le difficoltà. Per me è stato molto importante vedere l’intelligenza “in motion”, in tutte le sue dimensioni.
Rispetto all’entusiasmo cosa l’ha colpita?
Tutti i partecipanti hanno accolto la sfida di raggiungere gli obiettivi che avevamo posto, manifestando l’entusiasmo di chi vuole creare qualcosa da poter consegnare al Santo Padre e dire “abbiamo migliorato l’umanità”, collaborando con una goccia a togliere un po’ di sofferenza. La sensazione vissuta da alcuni è stata quella della gioia perché hanno sentito di essere anche loro parte della storia per cambiarla.Il grandissimo entusiasmo è evidente anche per il fatto che si sono preparati all’evento: alcuni di quelli che hanno lavorato sul tema “migranti e rifugiati” prima di partecipare al “Vatican Hackathon” hanno visitato migranti e rifugiati nelle loro zone di provenienza per conoscere quali fossero i problemi più grandi che loro vivevano. Così il loro pensare non è stato astratto ma legato a cose concrete. Giovani di 20 anni che visitano rifugiati e migranti per chiedere qual è il loro problema significa che hanno preso sul serio la sfida, che ci tieni con il cuore.
E sulla creatività cosa può dirci?
L’hanno dimostrata in tutte le fasi: prima hanno individuato i problemi, poi hanno fatto delle proposte scegliendo quella che secondo loro era la più giusta e l’hanno sviluppata creando una “demo”. Ma anche nella presentazione del loro progetto sono stati molto creativi per convincere che la loro idea era buona e, quindi, valeva la pena appoggiarla.
E adesso cosa succede?
Tutti i partecipanti hanno presentato un prototipo, sul quale si è espressa la giuria. Le aziende partner dell’evento finanzieranno la realizzazione dei progetti. Entriamo nella parte più importante del “Vatican Hackathon”, il “follow up”.
La sfida comincia adesso: le aziende devono accompagnare i giovani per far sì che almeno alcuni dei migliori progetti vedano la luce.
Tanti riguardano sistemi o prodotti informatici, software per i quali il successo dipende da due condizioni: devono essere realizzati bene e devono essere posizionati bene nelle realtà istituzionali che possono servirsene.
A Papa Francesco, che era a conoscenza dell’organizzazione del “Vatican Hackathon” fin dal primo momento, cosa verrà consegnato?
Quando qualche progetto vedrà la luce e prenderà una forma con la quale veramente sarà d’aiuto glielo porteremo per farglielo vedere. Ci vorrà del tempo perché i progetti vengano sviluppati, ultimati e posizionati. Ma solo così si riuscirà ad avviare un circolo di aiuto vero che si possa prolungare nel tempo.
Conclusa la prima edizione, è allo studio un nuovo “Vatican Hackathon”?
È importante che prima vengano realizzati progetti buoni, che servono. Perché questo richiamerà l’attenzione di altre aziende e istituzioni e i giovani potranno dire che il sogno di aiutare le persone l’abbiamo compiuto. Perché se quello che è stato proposto nella prima edizione non trova luce allora l’Hackathon rimane solo un bell’evento, uno show. L’idea di replicare fra qualche anno l’esperienza c’è, nella nostra mente e nel nostro cuore c’è il desiderio di un secondo “Vatican Hackathon”. Questo sogno diventerà realtà solo se saremo bravi a completare positivamente la prima edizione.
Cosa le lascia questa esperienza?
Ho passato diverse ore con i giovani partecipanti e ho imparato molto di quello che è il loro mondo: come pensano, cosa sentono, come si relazionano, come comunicano, quali sono i loro sogni… Questa relazione è una sfida per noi e per la Chiesa, per capire la loro cultura. Per poter evangelizzare e parlare a questa cultura dobbiamo conoscerla.
I Millennials sono davvero una realtà che ci sfida. Nell’anno del Sinodo sui giovani, il “Vatican Hackathon” è stata una bella occasione per renderci conto che dobbiamo capirli:
non c’è semplicemente un aggiustamento culturale ma una cultura diversa che sta in piedi.