Diocesi
Mons. Livio Corazza, pordenonese, fratello di don Gianfranco, lascerà qui la sua famiglia, i suoi fratelli, i tanti che ha conosciuto da Fiume Veneto a Orcenico e Concordia e nella Caritas diocesana. Scenderà fino a Forlì, portando con sé tutto quello che è diventato camminando con noi e tra noi
In festa come non capitava da trent’anni: la diocesi vede elevare uno dei suoi figli sacerdoti a vescovo. Era successo nel 1988, quando il fossaltese don Piero Giacomo Nonis lo era diventato di Vicenza. Il 9 aprile di quell’anno la cattedrale aveva accolto il sacro rito e, per imposizione delle mani del patriarca Marco Cè unitamente a quelle del vescovo Abramo Freschi, un nostro sacerdote acquisiva quel pastorale che lo avrebbe portato lontano. Momenti rari e solenni, nei quali la storia torna a bussare ai portali della cattedrale, legando tutti i suoi figli, senza limiti di tempo, in un unico racconto. Un racconto iniziato nel 389 con l’ordinazione del primo vescovo da parte di San Cromazio e che, continuando nella preziosa quotidianità delle celebrazioni, scrive di tanto in tanto un nome in una delle sue pagine speciali: come don Celso Costantini, come don Piero, come ora don Livio.
Sabato 17 marzo la cattedrale risuonerà di quel Veni Creator che più sovente accompagna l’ordinazione dei presbiteri. Di don Livio stesso, ordinato il 21 giugno 1981.
Pordenonese, fratello di don Gianfranco, lascerà qui la sua famiglia, i suoi fratelli, i tanti che ha conosciuto da Fiume Veneto a Orcenico e Concordia e nella Caritas diocesana. Scenderà fino a Forlì, portando con sé tutto quello che è diventato camminando con noi e tra noi.
Porterà l’immediatezza del sorriso bonario come della risposta schietta e coraggiosa. Andrà ricco della sua umanità attenta, capace di intuire i bisogni delle persone, di difenderne la dignità, fecondo della disponibilità di farsi carico come pastore delle persone affidate. Così lo descrive chi per anni ha lavorato al suo fianco nella Caritas diocesana come in quelle parrocchiali che ha contribuito a far fiorire. Attento ad ogni uomo: la Caritas infiamma i cuori per i bisogni dei fratelli. Tutti, senza distinzione, come il buon samaritano ancora insegna.
Per uno strano gioco del caso, sono i giorni in cui a Pordenone si chiude Dedica, che ha ospitato Atiq Rahimi, un afghano scappato dal suo paese nel 1984, dopo l’invasione dei russi. Uno che si è rifugiato in Pakistan per poi arrivare in Francia, dove per otto mesi è rimasto in un centro di accoglienza. Storie di trent’anni fa che sono ancora quelle di oggi. Oggi che i pakistani e gli afghani sono tra i migranti che bussano alle nostre porte, camminano per le nostre strade. Rahimi ha raccontato questa storia dalla parte di chi fugge dalla guerra. La guerra che incarcera i padri, uccide i fratelli e lascia solo un sogno: portare la vita altrove. La sua esistenza fa da specchio all’impegno di accoglienza di don Livio in caritas diocesana e nazionale. Vite che si intrecciano e si illuminano a vicenda, dimostrandoci che anche dal nostro piccolo frammento di mondo, passa il mondo intero. E che aiutare una persona qua, può davvero salvare una famiglia là.
Doveroso un ricordo: il 18 marzo di sette anni fa Concordia piangeva attonita l’improvvisa scomparsa di don Pierluigi Mascherin. Ai suoi funerali la cattedrale si riempì di lacrime e di persone, giunte coi pullman da vari paesi che lo avevano avuto come cappellano e sacerdote. Altri pullman, sabato 17, verranno pieni di sorrisi e di emozione a gremire il piazzale. Lì, elevati dal Veni creator, intonato da otto corali, fedeli della nostra diocesi come quelli di Forlì-Bertinoro si fonderanno in un unico grazie.
(*) direttrice “Il Popolo” (Concordia-Pordenone)